ECCIDIO DI GINESTRO
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L'ECCIDIO DI GINESTRO
(fonte provvisoria Wikipedia)
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La storia è scritta dai vincitori.
E i vincitori sono spesso ricordati, presentati ed eletti ad eroi, le cui gesta sono assunte al bene contro il male.
Ma ovunque si parla di storia, esiste una controstoria, altrettanto vera, vissuta, che troppo spesso volutamente nasconde soprusi, angherie, umiliazioni imposte, infamia, soppressione della dignità nei gesti compiuti a danno dei luoghi e soprattutto su individui del genere umano.
Fatti in nome della guerra, in machiavellica giustificazione “il fine giustifica i mezzi”, perpetrati nell’eroico incedere della forza di un’arma imbracciata contro indifesi, oltraggiati ed umiliati innocenti.
Fatti attentamente taciuti, ma che emergono con decisione e pennellate indelebili dai racconti di chi li ha vissuti, subìti e testimoniati, con dovizia e riscontro documentale, lontano dalle pubblicazioni celebrative.
La guerra è anche questo; la storia è anche questo: la ricerca della dignità di voler ricordare e conoscere.
Alcuni fatti, contrariamente ad eroismi decantati e sbandierati, racchiudono e ricordano terribili e sconvolgenti orrori, commessi nella brutalità indignante della forza “eroica” infusa dall’imbracciare un’arma.
In questi anni di studi ed approfondimenti storici ho sempre attentamente evitato la storia della Resistenza, perché ho sempre ritenuto di non volerla affrontare non conoscendola a sufficienza, o forse meglio conoscendone anche risvolti da controstoria, spesso taciuti.
Il bene e il male, che inevitabilmente si mischiano ed a volte si invertono, oppure semplicemente mantengono la loro posizione rivelando punti di vista diversi in base alla prospettiva con cui sono osservati.
Restano i fatti, o almeno alcuni, indissolubili, tragici; un orrore senza tempo, che si può leggere istantaneamente negli occhi di chi ne è stato toccato, chi lo ha vissuto e subìto direttamente.
Nel nostro territorio locale sono tanti i fatti raccontabili, ma uno su tutti resta da esempio ripotato indissolubilmente nel tempo: “l’eccidio di Ginestro”.
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(fonte provvisoria - Wikipedia)
I FATTI
Nella domenica del 15 aprile 1945 avvenne un fatto che è tra i più significativi della storia recente della comunità di Testico. Durante il periodo dell'invasione tedesca, la collettività si mostrò molto mite, senza che nessuno mostrasse idee politiche e senza che ci fossero partigiani conosciuti appartenenti alla comunità: nel territorio testicese non risultano soldati tedeschi catturati né uccisi.
Alla mattina presto una pattuglia di tedeschi - guidata dal Maresciallo, soprannominato "Maryling" - partì dalla vicina Cesio; erano le 6 di mattina quando altre due colonne si misero in movimento da Vellego e da Cesio.
Alle 7 la frazione di Ginestro era circondata ed avvenne un rastrellamento casa per casa: la ventina di residenti vennero raccolti e trasportati al capoluogo di Testico; i civili arrestati, vennero immediatamente legati con corde da basto prese dai soldati nelle stalle.
Costantino Vairo, un giovane di 14 anni che stava pascolando gli animali, vide da distante la colonna, e si mise a correre verso il paese, ma non riuscì ad arrivare in tempo e nemmeno venne ascoltato dai pochi che incontrò: venne catturato.
Durante il tragitto i tedeschi uccisero Bruno Angelo che era sul ciglio della strada con una scarica di mitra, mentre i mezzi erano in movimento; questa morte - senza motivo - è giustificabile con la probabile paura che egli potesse avvertire gli altri o potesse fuggire.
Secondo un'altra testimonianza, che rimase latente tra la gente di Torria (frazione di Chiusanico), soprattutto tra le donne d'allora, mai ufficialmente rivelata né trascritta, si disse che la causa del feroce comportamento della pattuglia tedesca e della sua relativa rappresaglia contro la gente inerme, fu un colpo di moschetto sparato da un gruppetto di "pseudo-partigiani", ossia semplici renitenti alla leva senza occupazione, che vivevano alla macchia e d'espedienti, presenti in quel momento in località "Rocca d'u Crovu", piccolo dirupo boschivo sopra Testico.
Questa scellerata azione non fece altro che inferocire ulteriormente i militari tedeschi, già ampiamente arrabbiati e frustrati, poiché si sentivano prossimi alla resa.
Ovviamente dopo questo gesto avventato gli pseudo-partigiani (quelli veri, nobilissimi, fecero ben altro, rischiando la loro pelle in primis e salvando molte altre persone), scapparono e, non contenti, attraverso il passo di San Giacomo, si diressero a Torria, obbligando le donne, in male maniere ed armi in pugno, a rimpinzare i loro zaini e borracce di cibi e vino.
Tra le donne che ricevettero visita c'erano Giuditta Bertolotto in Garabello moglie di Pietro e loro primogenita di nove figli Eugenia, sposata con Sèttimo Pellegrino ed a sua volta madre di 6 bambini. I torriaschi, Pietro Garabello, Settimo Pellegrino ed Antonio Sciandrini erano stati appena catturati nell'osteria di Testico mentre barattavano con altri avventori il loro olio con della farina di frumento e trucidati dai militari tedeschi, insieme ad altre 27 persone, mentre quella banda di scappati di casa (non è mai stato rivelato da dove arrivassero. anche se più d'una persona lo sapeva bene), si rifocillava con roba altrui.
Eugenia Garabello ricordò che fu costretta a dar loro delle uova e una mezza pagnotta: le sole cose che aveva in casa immediatamente consumabili, visto che, vivendo già in misere condizioni, non disponeva certo di cibarie più appetibili (formaggi, salumi od altro).
Particolare non da poco, all'eccidio scamparono miracolosamente, tra gli altri, altri due torriaschi: Realdo Garabello, di 29 anni, ed Armando Pellegrino, di appena 14, ossia zio e nipote, rispettivamente figlio di Pietro (il primo) e di Settimo (il secondo), spinti a gettarsi in un roveto dai loro genitori, in un tratto dove il sentiero che conduceva a "Costa Binella", dove poi si consumò l'eccidio, non permetteva la completa visibilità dell'intera colonna dei prigionieri, né alle sentinelle tedesche in testa, né a quelle in coda ad essa.
Il fatto dello sparo provocatorio, che si sarebbe rivelato il vero detonatore della strage, fu confermato, giusto qualche anno fa, dalla sconcertante confessione, fatta sul suo giaciglio del trapasso, da uno di coloro che avevano partecipato a quella scellerata bravata - forse lo sparatore stesso (ovviamente anonimo) - a chi l'assisteva al capezzale.
Questa persona disse che da troppi anni si portava dietro quell'ignobile segreto, che gli aveva provocato, un rimorso irriducibile, seppur egli l'avesse già confidato, anni addietro, in confessione, a un sacerdote, per il fatto di non averlo potuto rivelare ai suoi cari, per paura di reazioni violente o minacciose di matrice politica, da parte di suoi ex compagni.
Tornando al tragico fatto saliente, mentre si stava celebrando la santa messa domenicale, la chiesa parrocchiale di Testico venne circondata, i due chierichetti riuscirono ad essere messi in salvo dal prete tra il tetto e la falsa volta in canniccio.
Gli abitanti, uniti a quelli già arrestati a Ginestro, vennero raggruppati su un muro esterno alla chiesa, sotto la sorveglianza di un militare armato di mitra. Gli altri erano in giro per il paese proseguendo il rastrellamento casa per casa.
Alcuni abitanti riuscirono a nascondersi, altri a fuggire ed avvertire i partigiani nascosti sui monti attorno alla località.
Alle 9:00 di mattina alcuni spari vennero fatti in direzione dei soldati tedeschi.
Il soldato della Wehrmacht che col suo mitra sorvegliava gli abitanti fuori dalla chiesa fu costretto a ripararsi all'interno del vicino oratorio di Sant'Antonio Eremita e l'occasione fu opportuna per il giovane Costantino Vairo che riuscì a scappare, assieme ad altri due, e a cui i militari provarono a sparare ma senza successo.
I partigiani provarono a liberare i prigionieri, ma i tedeschi usarono i civili come scudi umani.
Nell'osteria del paese arrestarono tre uomini più il titolare.
Un militare chiese da mangiare e da bere all'oste che, una volta serviti, ne approfittò per scappare dalla finestra aperta dileguandosi in una vigna: il militare concentrato sul panino non reagì. In questa occasione avvenne un fatto particolare, degno di nota: lo stesso soldato uscendo dall'osteria incontrò un uomo che si era nascosto nella cantina sottostante all'osteria.
All'uomo che non si mosse atterrito dalla paura, il soldato disse: "Via, via presto. Questa sera kaput!", frase che annunciò ciò che successe in seguito.
Alla popolazione riunita nella piazza della chiesa, vennero aggiunti gli abitanti della frazione di Poggio Bottaro. Si misero in marcia e passarono vicino alla frazione di Zerbini, dove vennero rastrellate altre persone. Tornarono davanti alla chiesa della frazione di Ginestro, dove tra i militari tedeschi scoppiò un alterco.
La colonna di militari e prigionieri procedette verso Cesio, fermandosi al poggio di "Costa Binella", dove i prigionieri vennero fatti sedere.
Tre giovani vengono liberati e fatti allontanare, mentre quattro donne e altre quattro ragazze furono mandate al carcere di Imperia per essere successivamente sottoposte ad interrogatorio.
Vennero legati i polsi formando delle coppie, schiena contro schiena, uomini con uomini, donne con donne.
Gli uomini messi sulla destra vennero fucilati da una distanza ravvicinata, mentre le donne vennero prima violentate, seviziate ed infine uccise con la baionetta, che venne brandita anche per finire i pochi uomini che, dopo Ia fucilazione, mostravano ancora un alito di vita.
I tedeschi tornarono per la strada di Cesio andandosene di fretta.
I civili nascosti lasciarono passare diverse ore prima di uscire, ed andare a cercare i propri compaesani.
Di fronte al tragico eccidio, con dei carri trainati da buoi, portarono i corpi esamini nell'oratorio; qui vennero distesi sulla paglia e coperti.
Furono istanti di particolare terrore e dolore, i cadaveri erano irriconoscibili, con i volti ed i corpi tumefatti. Alcuni riuscirono a conoscere i familiari solo dagli indumenti.
Venne scavata una fossa, dove trovarono momentaneo riposo alcuni corpi.
Vennero trucidate 29 persone in tutto: 25 di Testico e delle sue frazioni, 3 di Torria (frazione di Chiusanico) e 1 d'Alassio: Oliveri Pietro Giovanni Battista.
Bisogna altresì considerare che il paese contava all'epoca meno di 300 abitanti. Di questa tragedia nessun colpevole mai pagò, i tribunali non riuscirono a risalire a colui che diede e decise tale crimine.
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LE MOTIVAZIONI
Non si conosce una verità storica riguardo alle motivazioni che portarono i tedeschi a compiere l'eccidio.
Ma i testimoni parlano di una guida, una spia che era stata prima con i partigiani, e questa persona fa riferimento a due figuri.
Uno potrebbe essere austriaco, "Carlo", fuggito ai partigiani dopo essere stato con loro per qualche tempo come infermiere, per questo soprannominato "U Mêgu", che in dialetto ligure vuol dire medico, ma che è stata la spia e la guida dei militari tedeschi.
Secondo altri era un soldato tedesco, conosciuto a Testico col nome di "Franz", che era stato coi partigiani dopo aver finto la diserzione dai tedeschi.
Venne accolto tra le file dei partigiani sotto la guida di Massimo Gismondi, detto "U Mancén".
Il comportamento dei soldati tedeschi, fu presumibilmente una feroce e sproporzionata reazione allo sparo, diretto contro il plotone invasore in marcia, proveniente dai monti soprastanti, già narrato sopra, in un frangente in cui essi sentivano già la frustrazione per la disfatta imminente.
Secondo ricostruzioni, i partigiani trovarono rifugio nel paese, ed assieme ad alcuni abitanti avviarono la costruzione di un bunker che sarebbe servito come postazione radiotrasmittente e rifugio militare per gli alleati comandati dal capitano Bentley.
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IL RICORDO
Venne eretto un monumento a imperituro ricordo, ed ogni anno, in occasione della strage viene celebrata una messa.
Il Consiglio Comunale di Testico, l'11 giugno 2003, rivolse la richiesta a Carlo Azeglio Ciampi, allora Presidente della Repubblica Italiana, richiedendo il riconoscimento della medaglia d'argento al Merito Civile, per il gonfalone di Testico perché le generazioni che verranno non dimentichino.
Domenica 17 aprile 2005, in occasione del sessantesimo anniversario dell'eccidio, venne conferita la medaglia al valore al gonfalone comunale da parte del Prefetto, Nicoletta Frediano.
La motivazione è stata la seguente:
“Piccolo paese dell’entroterra ligure di appena duecento abitanti fu oggetto di un efferato episodio di guerra: ventisette suoi concittadini furono presi in ostaggio e barbaramente trucidati per rappresaglia dalle truppe naziste. Due donne presenti nel gruppo vennero prima violentate e poi sventrate con i moschetti d’ordinanza. Nobile esempio di spirito di sacrificio e di elette virtù civiche. 15 aprile 1945 - Testico (Savona)”.
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LE VITTIME
Come testimoniato dal monumento a ricordo dell'eccidio, l'elenco delle vittime è il seguente:
Aicardi Elena, fu Eutimio, di anni 48
Ascheri Giuseppe, fu Giovanni, di anni 51
Bruno Angelo, fu Giovanni, di anni 72
Bruno Giovanni, di Valente, di anni 38
Danio Giovanni, di Costantino, di anni 44
Ferrari Giovanni, Fu Carlo, di anni 40
Ferrua Giacinto, di Giovanni, di anni 36
Gaibizio Bernardo, fu Venanzio, di anni 74
Merello Pietro, di Benedetto, di anni 42
Moreno Angelo, fu Vittorio, di anni 42
Pace Francesco, fu Pietro, di anni 57
Regesta G. Batta, Fu Nicola, di anni 58
Tirteo Anacleto, fu Lino, di anni 46
Vairo Americe, fu Luigi, di anni 60
Vairo Marcello, fu Marcello, di anni 36
Zerbone Filiberto, fu G.B., di anni 53
Zerbone Francesco, di Vincenzo, di anni 33
Zerbone Lindo, di Carmelo, di anni 35
Zerbone Mario, fu Luigi, di anni 45
Zerbone Teresa, di Giovanni, di anni 31
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