NAUFRAGIO DELL'ANDORA II
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IL NAUFRAGIO DELL'ANDORA II
(Antonello Degola)
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L'Andora II prima del varo nel cantiere navale andorese
Varata nel 1920, l’Andora II, con le sue 788 tonnellate, rappresentava l’estremo sforzo dell’armamento velico locale per sopravvivere alla ormai spietata concorrenza del vapore. Armoniosa nelle sue linee e munita di motori ausiliari era un solido bastimento oceanico.
Apparteneva all’avvocato Massabò e al signor Quaglia.
Primo e unico Capitano fu Angelo Vassallo che avrebbe dovuto chiudere con quell’imbarco una lunga e prestigiosa carriera velica.
Secondo di bordo era il “patrone” Gerolamo Acquarone; l’equipaggio era formato da ventun persone, delle quali otto di Porto Maurizio.
L’Andora II terminò l’allestimento a Porto Maurizio da dove partì il 21 aprile 1921 per Santo Domingo con un carico di rotaie che sarebbero dovute servire al trasporto del mogano, legno pregiato che all’epoca ancora si trovava nei boschi dell’isola.
Il veliero vi giunse con una traversata di 59 giorni, avendo trovato tempi maneggevoli.
Ma il destino dell’ultimo grande veliero portorino era segnato.
A Santo Domingo, fra il taglio e il trasporto del legno, trascorsero ben quattro mesi. Durante quella permanenza, un ciclone investì l’isola e il veliero ancorato in un fiume finì su di un banco con le ancore sotto la chiglia, riportando gravissimi danni.
Il secondo con sei marinai, tra i quali Battista Massabò (“Scialotto”), che erano rimasti in rada a bordo di un pontone vennero salvati coraggiosamente dal capitano Vassallo che uscì con una draga a trarre a salvamento i pericolanti.
Tamponate alla meglio le falle e con solo metà del mogano previsto (non si riuscì a recuperare tutto il carico), il veliero ripartì per Londra, ma il viaggio fu tormentato dalla continua ed estenuante lotta alle vie d’acqua nello scafo.
Un turno di due marinai era sempre alle pompe; inoltre, l’Andora II venne investito dalla coda di un uragano che fece vivere al bastimento una notte di tregenda.
Ben venti persone cercarono di salvare il barile di trinchetto 1, mentre capitan Vassallo dirigeva la manovra al timone.
Il bastimento faticava ad avanzare per i venti contrari. Dopo tre mesi di navigazione i viveri erano quasi terminati, a eccezione di alcune casse di fagioli col “biccio” mentre l’acqua era scarsa.
Si poggiò a Plymouth per caricare provviste e da quel porto si raggiunse Londra a rimorchio. Le stive, caricate solo parzialmente, erano piene di acqua e parte del carico galleggiava. Solo la lunghezza dei tronchi aveva salvato la nave durante l’uragano. A Londra, provato da tante traversie, gran parte dell’equipaggio sbarcò.
Insomma, il viaggio si era rivelato un disastro anche per gli armatori, che a Londra vendettero il malconcio bastimento.
Dopo altri tre mesi di sosta, l’Andora II prese il mare con un carico di ferro, ma il 25 marzo 1922 si incendiò misteriosamente venti miglia a ponente di Gibilterra e fu abbandonata dall’equipaggio che la sera del 26 raggiunse la costa con le lance di salvataggio.
La lotta contro le fiamme era stata breve, nonostante il valoroso tentativo di domarle da parte dell’equipaggio e in particolar modo del nostromo Michele Martini (“Nasiccio”).
Il veliero affondò al largo dello Stretto, dopo essere andato alla deriva per qualche ora.
Davvero un tragico destino per una storia finita troppo presto!
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