ANDORA NEI TESTI ANTICHI - Andora nel tempo

Andora nel tempo
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ANDORA NEI TESTI ANTICHI


ANDORA NEI TESTI ANTICHI

CASTIGATISSIMI ANNALI
(Agostino Giustiniani)
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Agostino Giustiniani, ovvero Pantaleone Giustiniani (Genova, 1470 – Mare di Corsica, 1536), appartenente alla famiglia genovese dei De Banca molto legata alla Repubblica di Genova, entrò nell'Ordine dei Domenicani a 17 anni (nel 1487) e fu vescovo di Nebbio, nonché illustre studioso e insegnante di lingue straniere e tra i più importanti geografi per la sua descrizione accurata della Liguria.






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"….. e in distanza di doa miglia si troua sulla spiaggia la marina di Andora con tre o quatro case, e assendendo alla montagna per spacio du un bon miglio si va alla villa purnominata Andora posta su un poggio che fa case per duecento foghi, vero e che al presente per cagion della peste non arriuano gli habitatori a vinti foghi, e di verso ponente descede sotto Andora il fiume nominato Meira, dal quale e nominato il promontorio o sia cauo della meira, e questo credo che sia il fiume che gli antichi Cosmograffi hanno nominato in latino Merula, e la valle per la quale descede il fiume e circa otto miglia, e vi sono piu villette, e primo di verso Ponente vicino al mare manco di un miglio Pigna con quatro foghi, Rollo con vintidoi, Beneo con sette. S. Giouani con vinticinque e piu alto il Domo con quaranta, e in mezzo di. S. Gioani e del Domo Ferrera qual fa dodeci foghi, e poi Cona cò settanta, e i ultimo della valle Morteo con vinti foghi, e descendendo dalla parte del Levante, in distantia del mare circa cinque miglia. S. Bartholomeo, qual fa diciotto foghi, e poi Roseghina, qual ne fa trentacinque. Piano Rollo diciotto. S. Pietro vinti, Marin trentasei, e poco piu a Leuàte tornando ascendere, si troua la villa Misaigna cò diciotto foghi, e piu su la colla con dodici, e sopra la colla dua miglia Stananello, qual fa ducento foghi, e e del marchese di Finalo e in fino Testego con vinticinque foghi. Tutta questa valle Andorina fa seicento foghi, abùdante di vino, olio, e altri frutti, e procedendo dietro alla spiaggia in spacio di doa miglia, vi e la villa di Laiguillia, in latino Aquiliam qual fa centoquaranta foghi, della ditione di Andora, per la piu parte marinari, e hanno un golfetto, che fa il cauo delle Meire bona statiòe, ….."
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DIZIONARIO GEOGRAFICO STORICO-STATISTICO-COMMERCIALE DEGLI STATI DI S.M. IL RE DI SARDEGNA
Goffredo Casalis
(Trascrizione di Maria Teresa Nasi)
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Goffredo Casalis (Saluzzo, 9 luglio 1781 – Torino, 10 marzo 1856), abate e storico italiano.
Di umili origini e orfano di padre, fu accolto fin da ragazzo al seminario di Saluzzo gratuitamente, ove studiò fino all'ordinazione sacerdotale, conseguendo il dottorato in Belle Lettere presso l'Università di Torino.
Svolse con scarsa convinzione attività di precettore per le ricche famiglie torinesi (ostacolato dalle pressioni dei padri Gesuiti), cercando di intraprendere un'attività che gli garantisse il tempo e le condizioni economiche per continuare i suoi studi storiografici.
Nel 1833 Carlo Alberto fondò la "Regia Deputazione sopra gli studi di Storia patria" permettendone l'accesso, fino a quel momento negato, agli studiosi.
Nacque l'idea di raccogliere in un'unica opera tutte le informazioni su ogni singolo comune e villaggio dello Stato Sabaudo, dando origine al "Dizionario geografico, storico, statistico, commerciale degli stati di S. M. il Re di Sardegna".
Nel 1838 erano stati completati solo 3 volumi, nel 1855 i volumi pubblicati erano 26.
Riuscì a portare a termine l'impresa grazie alla collaborazione con Vittorio Angius,  morendo l'anno dopo l'ultimazione del suo "Dizionario".






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ANDORA (Andora), capo-luogo di mand. nella prov. e dioc. di Albenga, div. di Genova, dal cui senato dipende. Sotto gli uffizi di vice-intend. di Albenga, di prefett. ed ipot. di Finale, d'insin. e posta di Alassio.
 
Il villaggio di Andora fu assoggettato ai marchesi del Vasto e di Monferrato nel 991, anno, in cui il marchese Teti condusse in isposa Elena di Ventimiglia, e stette sotto la loro dominazione, finchè nel 1252 fu venduto dai marchesi di Clavesana alla repubblica di Genova, ai destini della quale soggiacque poi sempre.
 
Questo comune è situato a ponente di Albenga in una vallea fiancheggiata da due colli, che si diramano dal giogo superiore dell'Appennino ligustico. I due terzi della sommità della valle sono cosparsi di oliveti; il rimanente è in parte pascolo incolto, e in parte coperto di quercie e di pini marittimi. Questo pascolo serve alla nutrizione di quasi mille pecore nell'inverno, e nella primavera.
 
Verso la metà della vallea sopra un rialto vedesi un antico castello, cinto di muraglie con ben costrutte porte. Sulla sommità di tale rialto scorgonsi le pareti di una fabbrica chiamata Paraxo, dalla cui ampiezza apparisce aver potuto alloggiare da 600 uomini d'arme. In essa amministravano la giustizia i podestà, e si tenevano le adunanze dei magnifici anziani, non che quelle del generale parlamento.
 
Tra greco e tramontana sorge un'antica torre sorretta da due stupendi archi di pietra lavorata a scarpello. Attigue ad essa torre stanno ancora in piè le muraglie dell'antica chiesa parrocchiale sotto il titolo dei santi Giacomo e Filippo, la quale era costrutta su gotico disegno di pietre scarpellate, e venne diroccata nel 1798.
 
Da questa chiesa, che fu la parrocchia maggiore, vennero disgiunte le cinque parrocchiali, che esistono di presente nelle diverse frazioni del comune.
 
La principale è quella di s. Giovanni Battista edificata nel 1400.
 
Ha tre navate, e contiene poco più di mille persone. Essa nella sua giurisdizione spirituale comprende 544 abitanti.
 
La seconda di s. Bartolommeo fu ricostrutta nel 1600. Il suo campanile è rimarchevole per altezza straordinaria. Novera 307 parrocchiani.
 
La terza è quella di s. Andrea. Venne eretta sulla fine del 1500.
 
Ha tre navate, e può contenere oltre a 400 persone. I suoi parrocchiani sommano a 343.
 
La quarta è la chiesa di san Pietro fabbricata verso il fine del 1600. Ha pure tre navate. Gli abitanti vi sommano a 396.
 
L'ultima è consacrata alla santissima Trinità. La sua edificazione è del 1500. Ha una sola navata, e può capire circa 400 persone. Fu eretta in parrocchia nel 1610. II suo governo spirituale si estende sopra 319 abitanti.
 
Le maggiori solennità, che si celebrano in questo comune, sono le feste dei santi titolari. A quella di san Giovanni Battista, particolarmente negli anni di buon ricolto di olive, vi concorrono da 1500 forestieri dai paesi circonvicini, e specialmente ila Laigueglia.
 
I cadaveri si seppelliscono tuttavia nelle tombe delle chiese.
 
Vi sono però ordini premurosi per la costruzione di cimiteri, di cui questa comunità, e le sue frazioni furono prive sinora. Evvi un ospedale, in cui, a cagione delle tenuissime sue rendite, non si possono ricoverare che pochissimi malati. Sonovi pure un ospizio, ed un monte di pietà, i cui tenuissimi proventi sono distribuiti ai fanciulli, che intervengono alla dottrina cristiana, ed ai poveri della parrocchia di san Giovanni Battista.
 
Chiamansi golfo d'Andora le acque salse, che bagnano la spiaggia di esso, e i vicini promontorii del Meira, e del Capoverde. In questo golfo si fa qualche buona pesca, e singolarmente di triglie nella stagione invernale.
 
Presso a questa spiaggia, in vicinanza della parrocchia di san Giovanni Battista, vi è un baluardo tuttavia in buono stato, che fu costrutto nel principio del 1500 contro i corsari barbareschi. Havvene pure un altro nel sito detto Capomele, stato edificato nel 1792.
 
II Merula, che ha origine nel luogo di Stellanello, inaffia il territorio di Andora, presso il quale si getta nel mare. Quivi è attraversato da un ponte di cotto a dieci archi situato rimpetto al castello. che credesi essere stato costrutto dai romani.
 
Questo ponte è lontano mezzo miglio dalla strada littorale. Dalle acque del Merula sono posti in attività dieci frantoi da olive, ed altrettanti lavatoi.
 
Il suolo d'Andora, tuttochè poco fertile, produce in qual che copia grano, orzo, legumi. Il principale prodotto vi è quello delle olive, che danno ogni biennio ottomila quintali metrici d'olio. Gli abitanti ne fanno il commercio con Alassio, Laigueglia, Cervo, Diano, ed Oneglia.
 
In primavera ed in autunno vi è il passaggio di numerosissimi uccelh di varie specie.
 
Havvi una sorta di pietra detta Corombino bianco, la quale si riduce in calce, ricercatissima per la fabbricazione dei terrazzi, stante la sua proprietà di resistere all'umido, e di indurarsi invecchiando allo scoperto.
 
La strada, che traversa il comune, corre da levante a ponente: da levante conduce a Laigueglia per la lunghezza di uno e mezzo; da ponente mette al comune di Cervo per la lunghezza di un miglio. Questa strada è carrozzabile, ed una delle più comode di tutta questa riviera occidentale.
 
Dipendono da questo capo-luogo di mandamento quattro comunità: Casanova, Stellanello, Testico, e Vellego.
 
Gli abitanti di Andora sono soggetti alle febbri intermittenti.
 
Vi sono usati i pesi, e le misure di Genova. Popolazione 1909.
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ALLA PORTA OCCIDENTALE D'ITALIA
Edward e Margaret Berry
(Trascrizione di Maria Teresa Nasi)
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CAP. XI

 
ALASSIO E ANDORA

 
Una delle gite preferite partendo da Alassio è quella che conduce attraverso la valle di Andora e Stellanello, con uno scenario molto bello, fra colline e campi ricchi di fiori selvatici e con oleandri nel letto del torrente. Questa vallata, percorsa dal torrente Merula, è sempre stata celebre per il fertile suolo e, quantunque frutteti di pesche abbiano recentemente sostituito i magnifici boschi di olivi per i quali era famosa, lo splendore dei fiori in primavera ed i frutti rigogliosi che riforniscono i mercati della Riviera in estate testimoniano ancora della fecondità della zona.
 
ANDORA non è solo un villaggio, ma un gruppo di abitati formati da un comune. Marina e la Pigna d’Andora si trovano sulla strada principale lungo la costa; Molino Nuovo, centro del Comune e sede del Municipio è a circa 4 km nell’entroterra; il Castello d’Andora, con le rovine di un castello poligonale e la ben restaurata chiesa dei Santi Giacomo e Filippo, sorge sulla collina sul lato nord della vallata; San Giovanni Battista e Confredi sul lato sud.
 
Il castello ed il territorio di Andora appartenevano un tempo al Marchese di Clavesana, che nel 1252 li vendette a Genova per 8000 lire. In un’epoca in cui i Guelfi dominavano a Genova ed i Ghibellini esuli non perdevano occasioni di attaccare la fazione avversaria, forti contingenti ghibellini assediarono il castello, tenuto da una guarnigione genovese. Il Vescovo di Albenga, Emanuele Spinola, che parteggiava per i Ghibellini e che si avvicinava con rinforzi per gli assedianti, fu attaccato dai nemici sulla spiaggia di Andora e cadde in battaglia. I resti del castello, dalla forma singolare, e le mura di fortificazione si scorgono ancora sulla collina; una torre massiccia, ornata da un bastione ghibellino, segna l’ingresso principale nella fortezza. Sotto l’arco di questa porta vi è un affresco di scuola senese del XIV secolo. La chiesa dei SS. Giacomo e Filippo è un mirabile esempio di tarda architettura romanica, con quattro pilastri che sostengono l’arco tondo dell’ingresso principale e tre absidi semicircolari sul lato orientale, con finestre strette ad arco tondo. L’esterno dell’edificio è ornato di archi piatti, caratteristici dell’epoca, L’interno denota più chiaramente l’età della chiesa, e la mano del restauratore è meno visibile. I bei pilastri di pietra che sostengono gli archi leggermente ogivali del tardo periodo romanico sono di lavorazione rozza e massiccia. Sorgono su basi quadrate, con basi ad artiglio molto consunte ad ogni angolo, e sono sormontati da capitelli a cuscino su un abaco quadrato. Sopra l’altare vi è un dipinto della Crocefissione, su un pannello di legno.
 
Sulla riva opposta del torrente si trova la chiesa che ha dato il nome all’abitato di San Giovanni.  Ha bei colori e proporzioni, con un alto campanile, ma non presenta molti elementi interessanti: un tabernacolo in marmo bianco scolpito, con la data 1513, dietro l’altar maggiore, un pulpito di ardesia del 1570, rovinato da imbiancature, e tre quadri mediocri nella sacrestia. L’adiacente cappella di Santa Caterina ha un’architrave con la data 1533.
 
Si ritiene generalmente che la strada romana valicasse la collina a Colla Micheri e che scendesse presso l’antica cappella di San Damiano, e non lungo il tracciato della strada medievale, che si può seguire andando da Laigueglia al ponte sul Merula, nella valle di Andora; si passa davanti a una pittoresca fontana in una nicchia sull’alto della strada verso la collina. La via romana può aver attraversato il torrente sul punto in cui sorge ora il ponte, ma la struttura del ponte stesso non presenta tracce di opera romana.
 
La strada che risale la vallata attraversa il letto del torrente proprio sotto Molino Nuovo e continua poi sulla riva sinistra fino al gruppo di abitati formanti il comune di STELLANELLO.


Disegno di Adriano Lunghi - per gentile concessione Federica Lunghi

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GIORNALE LIGUSTICO DI ARCHEOLOGIA, STORIA E BELLE ARTI
SOCIETA’ LIGURE DI STORIA PATRIA
XXVI - 4 LUGLIO 1874
DI ALCUNE ANTICHITA’ A LAIGUEGLIA E NELLA VALLE DI ANDORA
Tammar Luxoro
(Trascrizione di Mario Vassallo)
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“Dico poche parole a riguardo di alcuni avanzi e monumenti di arte archeologica, che lo scorso inverno ebbi occasione di vedere a Laigueglia e nella valle di Andora; ma ho d’uopo di benigna indulgenza perchè sono ben lontano da quegli studi che abbisognano sul difficile tema, e tanto più aprendo bocca innanzi a questa adunanza della Società Ligure di Storia Patria ove chiari uomini, per sempre nuovi ed eruditi lavori, riscuotono ammirazione e plauso universali. Io pertanto dichiaro astenermi da ogni discussione ed apprezzamento; soltanto accenno a quanto vidi, perocché qualche cosa sia nota se ancora nol fosse, e non rimanga dimenticato ciò che è conosciuto.
Il paese di Laigueglia si onora di una vastissima chiesa; e parecchi de’ suoi altari in istile barocco appartenevano, secondo intesi colà, a templi in Genova demoliti.  Osservai con interesse il grande e bello organo; e la sua forma e le pitture che lo decorano mi rammentarono l’Haffner. Confesso che tale strumento su quella orchestra mi pareva piuttosto trasportato che nato; e fattane dimanda in proposito, ne ebbi in risposta che prima d’ora apparteneva alla chiesa dei PP. Filippini in Genova.  Ciò mi persuase tosto; e deplorai che quell’organo fosse stato tolto dal luogo di origine, ove tanto doveva armonizzare con tutto l’assieme omogeneo del san Filippo, per collocarvene un altro il quale, rispetto allo stile, è ben lontano dallo avere sostituito il primo.
Laigueglia è attraversata da due strade: una a mare e l’altra a monte, che è la più antica. Verso la estremità di questa, a ponente, nella facciata di una modesta casa che guarda a tramontana, vi è dipinta a fresco la Beata Vergine col Bambino in una nicchia quadrata, ed intorno, nello esterno di essa, un santo colla spada in mano, ed altro che credo sant’Antonio ‘abate. Tra i guasti del tempo ed i ristori più barbari, poco si può apprezzare di tale dipinto; ma è duopo avvertire un’avanzo di scritta che ancora vi si legge e dice così:
 
BERNARDO  .  .  .  A. 2.
FILIA SVA CATARINA 1529
 II JVLII A. 9.
 
Seguendo la detta via si riesce ad una cappella che s’intitola dalla Madonna del Carmine; ed in prossimità di essa, poco discosto dallo abitato, vi sono campi di olivi in iscaglioni, sorretti da lunghi, antichi e ben costrutti muri. Fra questi, un tratto di circa dieci metri, per due e mezzo di altezza, è costruzione romana nota col nome di opus reticulatum; nè certamente per la diligenza con cui è fatto, e per la sua importanza direi decorativa, si può argomentare che abbia avuto in origine lo scopo a cui trovasi attualmente destinato.
La via di cui ho parlato è certamente la romana: essa scavalca sul dorso la Colla, ossia il monte che a mezzogiorno sporge la sua estremità sul mare ed è chiamato il Capo delle Mele. Io svoltai questo Capo per la strada provinciale, e raggiunsi l’antica valle d’Andora a due chilometri circa dalla spiaggia in testa ad un ponte sul Merula. Questo apparisce in più riprese rifabbricato, ma la tradizione vuole fosse costrutto dai Romani; e ciò si rende molto probabile pel fatto che lo stesso trovasi in raccordo colla via sopra menzionata.
Salendo la stessa via, che rimette per quella parte a Laigueglia, in mezzo ai campi di olivi, sempre sorretti da antiche muraglie, incontrai una costruzione ad uso di fontana, che i contadini chiamano nuova. Per darsi contezza di tale denominazione bisogna credere che prima di essa ve ne fosse un’altra; la qual cosa se pare a prima vista semplicissima, abbastanza strana però si presenta quando si conosca che la fontana nuova è opera romana. Essa consta di un volto a tutto tondo, il cui arco esterno e le poche pietre che avanzano allo intorno sono di un carattere così evidente da non porre in dubbio l’epoca sopra indicata.
Non abbisognano molti passi da questo interessante avanzo, per giungere ai piedi di una grande torre quadrata sorretta da arcate, per le quali si entra in un recinto di mura che racchiude la località detta Castello. Questa torre è alta, imponente e costrutta di pietre riquadrate; ma la parte superiore è rifatta.  Qui siamo in medio evo; e le mura suddette e tutto ciò che di fabbricato in esse si racchiude con evidenza lo dice. Io non toccherò della storia che di questo luogo fa note le vicende; ma il luogo medesimo è di essa un testimonio che merita davvero qualcuna di quelle cure, che in Liguria invano da tanto tempo si reclamano.
Delle arcate suddette della torre, l’esterna è a sesto acuto e l’opposta a tutto tondo; sulla prima sonvi traccie di pittura, ed in una terza arcata chiusa a destra (anch’essa a tutto sesto) ancora si conserva in buono stato un antichissimo fresco rappresentante l’Annunciazione di M. V.
Oltrepassata la torre, mi trovai innanzi la chiesa che porta il titolo dei santi Giacomo e Filippo.  Ciascun di noi rammenta per fermo, o Signori, gli avanzi del san Michele di Fassolo che non ha molti anni ancora si vedeano nella nostra città, ed in ispecie i tre absidi che tuttavia duravano intatti.  Ebbene io posso dire di averli riveduti, tanto ai medesimi sono simili quelli della chiesa di Castello; onde mi dispenso dal descriverli. Questa però non ebbe la disgrazia dell’altra, che fu prima abbandonata, indi ricostrutta verso la metà del secolo XVII, poi abbandonata ancora e finalmente distrutta affatto per dar luogo alla Stazione occidentale della via ferrata.
Il Casalis parlando della chiesa di Castello la dice diroccata; ma invece io la vidi in piedi non solo nei suoi tre absidi, ma nei suoi lati, nella sua facciata, nel suo interno. Soltanto il tetto che era caduto fu di recente ricostrutto, perchè da quei terrazzani si volle il tempio riaperto al culto.
L’esterno e l’interno di esso è tutto a pietra tagliata; la facciata è divisa in tre parti, quella di mezzo più alta finisce a cuspide e le laterali hanno le estremità inclinate. La porta è arcuata a tutto centro sopra una riquadratura sporgente, e si interna con cinque archi concentrici basati sopra colonnine in marmo. L’arco chiuso porta traccie di pittura.
Nello spazio superiore della facciata si apre una finestra ad arco acuto; nei lati minori a destra di chi guarda ve ne è una piccola decorata in terra cotta, a sinistra una bifora ad archi acuti. Nella parte posteriore della chiesa, sul muro che sopravanza all’abside di centro si apre una finestra circolare; nei muri bassi laterali ve ne sono tre per parte, alte e strette a guisa di feritoie, ed altrettante nelle pareti superiori di mezzo.
Si entra in chiesa scendendo cinque gradini in pietra, ed altrettanti se ne salgono per accedere al Presbitero. L’interno è diviso in tre navi, e si contano cinque arcate a sesto acuto. La più parte delle colonne che le reggono sono cilindriche, alcune ottagone; e quella sottostante al moderno pulpito è antica come le altre. Queste sono in pietra di colore cenere, detto colà colombino, e formate a strati. In capo ai muri delle navate minori si scorgono traccie della imposta dei volti. L’altare è moderno; ma dietro allo stesso vi è un Crocifisso in legno di grandezza naturale, ai piedi del quale pende un cartellino postovi di recente che dice: Questo Crocifisso è stato fabbricato l’anno 1301 e ristorato l’anno 1837.
Io non discuto le date, ma è vero che in questo caso ristoro e guasto sono sinonimi; onde converrebbe che quella interessante scoltura fosse rimessa, se possibile, al suo pristino stato. Ancora devo accennare ai capitelli delle colonne. Essi sono il solito dado tagliato inferiormente a forma semicircolare. In tre di questi si scorgono scolpite a basso rilievo delle figure simboliche, delle quali confesso non essere conoscitore: noto una specie d’àncora rovescia, un serpe, una testa di bue, una testa umana in mezzo a due croci ed una testa di montone.
Ho già detto che alla vista di questa chiesa rammentai il san Michele in grazia della perfetta somiglianza degli absidi; e perchè una idea ne chiama un’altra, col san Michele rammentai il pittore Manfredino da Pistoia. Molti anni addietro frequentando di sovente gli avanzi del tempio di Fassolo, ne tolsi i disegni d’ogni lato; ed accadutomi un giorno di osservare sulle pareti interne degli absidi, sotto una imbiancatura forse provvidenziale, dei contorni di figure, credetti perciò fosse il caso di esplorazione. Tosto ne tenni parola al ch. Cristoforo Gandolfi, ed egli, buon anima, e Francesco suo figlio, esimio dipintore di cui piangiamo la recente ed immatura perdita, si accinsero con ogni cura e diligenza a discoprire. Il risultato si fu, che vennero fuora pitture di artista fino allora ignoto, il cui nome si legge sotto l’affresco di mezzo (che ogni abside ne aveva uno) nella nota iscrizione: MAGISTER MANFREDINUS PISTORIENSIS ME PINXIT MCCLXXXXII IN MENSE MADII.
Noto di passaggio, che mentre si stava lavorando allo scoprimento degli affreschi (era la infausta primavera del 1849), la truppa prendeva posizione in quella località per prepararsi ai prossimi assalti degli insorti all’Arsenale dello Spirito Santo; ed io mi affrettai a disfare il palco che era alzato innanzi ai dipinti, e ne dispersi le tavole acciocché non si potesse nuocere agli stessi.
Due medaglie poteronsi togliere in seguito e trasportare all’Accademia Ligustica; ma la terza era in troppo cattivo stato. Il lavoro costò fatica e dispendio; e come della prima vuolsi dar lode ai Gandolfi, dell’altro si hanno da render grazie al Municipio.
Ora per questo fatto di vecchia data parevami che nella chiesa dei santi Giacomo e Filippo, sorella al san Michele sì da convincermi essere entrambe fattura di uno stesso architetto, avrei potuto trovare ancora il Manfredino; ma nello interno nessuna pittura, e le traccie di quella accennata sulla porta non erano certo sufficienti a dare indizio alcuno di autore.
Era giunto tardi, perchè, secondo mi fu detto, è da poco tempo che ne scomparvero due rimanenti teste. Del resto non poteva avanzare una pretesa su ciò, e mio malgrado dovetti allontanarmi da quello interessante monumento rinunciando al pittore pistoiese.
Ho percorso la restante salita che mena alla sommità della collina di Castello, e sui miei passi incontrai mura e case diroccate, dovunque avanzi di sempre uniformi costruzioni medioevali e traccie di antichi dipinti sopra ruderi di un edificio che chiamano l’Ospedale. Sulla casa Sifredi, ridotta abitabile per recenti ristori, vidi una lapide con stemma a tre striscie orizzontali ai cui lati vi sono rosoni ed alle estremità iniziali gotiche – un A ed una M se male non ricordo. Nella casa di certo Micheri, presso ad un pozzo, scorsi gli avanzi di altra lapide assai logora; e sull’uscio di altra casa pur di un Sifredi feci scoprire un frammento di epigrafe onde non mi è dato presentare che un imperfetto calco; ma da cui non dispero che l’egregio nostro collega sac. Remondini possa, colla consueta sua abilità, cavare un qualche costrutto. Presso a questa ultima abitazione trovasi un Oratorio, il cui esteriore è sempre in armonia di antichità col già descritto; ma l’interno venne goffamente rifatto.
Giunsi in fine sulla parte più elevata della località, e quivi trovai gli avanzi di un vasto castello che appunto a quella dà il nome. I contadini lo chiamano Paxo, e Paraxo il Casalis; il quale dice che ivi si contenevano un seicento uomini d’arme, si amministrava la giustizia, avevano luogo le adunanze dei magnifici Anziani non che quelle del generale Parlamento. I marchesi di Clavesana, che ne erano signori, lo cedettero alla Repubblica insieme alla villa ed al borgo di Andora nel 1252, pel prezzo di lire ottomila (1); ed ora è proprietà dello omonimo Comune. Questo edificio è in pessimo stato e le mura sono quasi tutte diroccate; esiste però qualche parte di volto, e la pianta potrebbesi ancora rilevare.
Esaminando questi antichi avanzi, che sempre ed a chicchessia destano interesse, vidi in più parti traccie di pitture le quali accennano ad ornamenti e stemmi; ma più di tutte mi fermò una medaglia ove si scorge il Bambino che tiene un uccelletto ed è sorretto dalla Madonna come si arguisce per le mani che restano. Alla destra poi dello spettatore si vede un santo con libro fra le mani. In quello che di tale dipinto ci avanza sia per la somiglianza del disegno, sia per la intonazione specialmente verdastra delle carni e sia pel tutto assieme, parvemi proprio riconoscere il pennello dicolui che aveva invano desiderato trovare in chiesa. Era una illusione od una realtà? Sopra una parete vicina a questa ove è tale pittura mi apparvero ad una certa altezza indizi di uno scritto, e chiesi tosto una scala ed uno straccio bagnato. Salii, e lievemente inumidito quel tratto, in caratteri identici a quelli della medaglia del san Michele, mi si svelò la lettera A ed il nome MANFREDINUS.
Io faccio voti perchè, senza dilazione, qualcuno più esperto di me in cose di arte e di archeologia vada a visitare i luoghi dei quali ho troppo imperfettamente parlato, sicuro che da un esame intelligente potranno avvantaggiarsi gli studi dei quali questa nobile Società si onora. Ma sopratutto desidero che alla vista di quei preziosi avanzi l’amore per la conservazione delle patrie memorie si rinvigorisca, onde del nostro glorioso passato non abbiano fra poco a rimanere che le eloquenti sì, ma troppo nude pagine della storia.”
 

(1)    Liber Jurium Reip. Gen., tom. I, col 1155 e segg.
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ABECEDARIO DELLE FAMIGLIE LIGURI
Federico Federici
(Trascrizione di Mario Vassallo)

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  • Bado G. Batta d0Andora, Notaio (anno 1403).
  • Bado Giuliano di Andora, notaio al Cervo (anno 1404).
  • M. Giulla o Giuria d’Andora q. Leonardo in Comp. 1373 ed in atti di Giov. Di Cairo in comp. 1377, 1380, 1382, 1396, ed in Tramo da Magiolo an. 1397 – sua sepoltura nel Chiostro di San Francesco (an. 1400).
  • Martino Giulla d’Andora, Notaro F. di Cairo 1376 e in Cartelario di S. Giorgio 1352 ecc.
  • Amedeo Giulla di Andora e sua moglie Licianetta, figlia del q. Francesco Negro in Comp. S. Giorgio (1687).
  • Giulla Anselmo d’Andora in Cartelario di Accelino Salvago (1667).
  • Negro Giacomo di Andora supplente per l’habitaz. (1445) in focagi (1462-64) test.° in atti Gerolamo Carrega (1448).
  • Negro (Luca) di Andora. In cartolario Meliadux – Salvag. (1447).
  • Negro Benedetto di andora e sua moglie Petra, figlia di Riccarod Centurione (1453).
  • Negro Giov. di Andora testimonio in atti Gerolamo Carrega (1448).
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ORIGINE E FASTI DI FAMIGLIE DI GENOVA – 1750 - VOL. 1
Giacomo Giscardi
(Trascrizione di Mario Vassallo)

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  1. De Andoria e poi Sopranis: nobili e cittadini traggono origine dal luogo di Andora. Sono venuti ad abitare a Genova nell’anno 1350. Nel 1361 Luigi De Andoria fu Anziano della Republica.
  2. De Ferrario Ferrari. Questa famiglia è antichissima in Genova e vi venne ad abitare dalla Lombardia e da altri luoghi della Liguria, quelli però che al presente sono al Governo della Repubblica vennero da Andora l’anno 1350, così sono i più moderni, essendo gli antichi totalmente estinti – 1358. Gasparo e Baldassare fratelli Ferrari q. Emanuele de Andoria e loro sepoltura presso la porta del Battistero di San Lorenzo; e dal detto Baldassare discendono i nobili Ferrari e De Ferrari viventi. – In detto anno suddetto Gaspare fu Castellano di Nove: suo fratello Baldassare ebbe in moglie Catterina figlia del q. Luchino De Begoli, e di esso si ricorda che nel 1394 fi Deputato alla custodia di Savona.
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Per informazioni scrivere a info@andoraneltempo.it
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