LE LEGGENDE DI ANDORA - Andora nel tempo

Andora nel tempo
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LE LEGGENDE DI ANDORA

STORIA E DOCUMENTI > STORIA ANDORESE
LE LEGGENDE DI ANDORA
(Maria Teresa Nasi)

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ANDALORA E IL MUSSULMANO AL KADIR:
LA LEGGENDA DI ANDORA



Nel 930 dopo Cristo questa bellissima valle era una macchia verde coperta da stupendi oleandri.
Quando nacqui mi chiamarono Andalora, dal nome di quelle bellissime piante.


Per gentile concessione, disegno di Maria Marchiano

Ero di carnagione bianchissima e le mie labbra erano rose come i petali dell’oleandro.
Quando ero bambina vivevo con mio padre, mia madre e i miei quattro fratelli.
Allora gli uomini pagavano quello che potevano, trionfavano la pace e la giustizia.
Un brutto giorno, nel nostro paese, arrivò il mussulmano Al Kadir.


Per gentile concessione, disegno di Maria Marchiano

Proveniva da un insediamento degli Arabi, detto Frassineto.
Quest’uomo era conosciuto da Albenga alla Costa Azzurra.
Quando arrivò nella valle degli oleandri la nostra famiglia si rifugiò nel paese che oggi si chiama Stellanello.
Non fu una sola incursione quella di Al Kadir, ma tante.
In una di queste incursioni il predone raggiunse la nostra casa e quella di altre dieci famiglie.
Uscivo solo per prendere l’acqua dalla fontana e per andare a Messa.
Un giorno andai a prendere l’acqua dalla fontana e conobbi un ragazzo alto e robusto che si chiamava Stefano, ma era soprannominato Stefanello per distinguerlo dal cugino più grande.
Ci guardammo, riflessi nell’acqua della fontana, e ci innamorammo.


Per gentile concessione, disegno di Maria Marchiano

Mentre tornavo a casa mia vidi arrivare il feroce Al Kadir con un centinaio di uomini; mi issò sul suo cavallo, allora Stefanello sellò il suo destriero e ci inseguì.
Quando io e il predone arrivammo in porto, salimmo sulla barca e il timoniero mollò gli ormeggi.
La nave, ormeggiata al largo di Capo Mele, attese il rientro a bordo di tutti i soldati con il loro bottino.    
In quel momento Stefanello si tuffò in mare per venire a salvarmi.
Fui incatenata all’albero maestro perché continuavo a lamentarmi.
Intanto Stefanello era salito sulla nave e si era nascosto in un grosso baule proprio vicino a me.
A notte fonda uscì fuori e provò a slegarmi.
Purtroppo il rumore delle catene svegliò una guardia che dormiva ai miei piedi; questi fu molto furbo e non chiamò le altre guardie ma, con una lampada ad olio, illuminò i nostri volti; il mio bene amato lo pugnalò, ma non ebbe nemmeno il tempo di chiudergli la bocca con la mano che la guardia lanciò un urlo talmente disumano che in pochi minuti tutta la barca fu sveglia.
Io pregai Stefanello di uccidermi; i Mori erano già attorno a noi con le scimitarre minacciose.
Stefanello mi diede un lungo bacio d’addio e ci buttammo in mare.


Per gentile concessione, disegno di Maria Marchiano

Al Kadir, commosso, fece ripescare i nostri corpi e li seppellì nella valle del Merula.
Da allora non fece più incursioni nella valle e, in seguito, si seppe che si convertì al Cristianesimo.
 Dopo la nostra morte, gli abitanti della vallata ci sognarono spesso.
In nostro ricordo le due località si chiamarono da allora Andalora e Stefanello e, ora, ANDORA e STELLANELLO.


Scuola Elementare Andora Molino - “Tra gli oleandri e il mare…alla ricerca dell’Andora perduta” - 1994 - Scritta da G. Garassino
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LA LEGGENDA DEL PORTALE DI SAN GIOVANNI


Per gentile concessione, disegno di Maria Marchiano

Quando si doveva iniziare a costruire la Chiesa di San Giovanni, gli abitanti della vallata andorese non riuscivano a mettersi d’accordo sulla posizione della porta.
Quelli della Marina volevano che fosse rivolta verso di loro, così come quelli del Castello e quelli dell’entroterra.
Alla fine chiesero aiuto al Vescovo di Albenga, che inviò un suo consigliere.
Questi affidò la scelta a una mucca, che venne portata sul luogo dove si stava costruendo la chiesa; bisognava osservare da quale parte avrebbe rivolto la testa.
Da quale parte si girò la mucca?
Dalla parte dove ora si trova la porta.


Scuola Elementare Andora Molino - “Tra gli oleandri e il mare…alla ricerca dell’Andora perduta” - 1994 - Scritta da R. Rolando


La Chiesa Parrocchiale di San Giovanni Battista

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LA LEGGENDA DEL PORTALE DI SAN GIOVANNI
(seconda versione)


Per gentile concessione, disegno di Maria Marchiano

Quando si doveva iniziare a costruire la nuova Chiesa Parrocchiale di San Giovanni, gli abitanti della nostra bella vallata non riuscivano a mettersi d’accordo sulla posizione del portale.
Quelli della Marina, pescatori, naviganti e corallari, volevano che guardasse il mare:
“Siamo quelli che rischiamo. Che Dio ci aiuti!”
Quelli del Castello volevano che l’ingresso alla Chiesa si vedesse da lassù:
“Siamo quelli che hanno fatto la storia. Siamo della Marca di Aleramo!”
Quelli dell’entroterra volevano che il portale fosse rivolto verso di loro:
“Mandiamo il nostro olio sino a Genova. E a Marsiglia!! Creiamo ricchezza!”
Soprattutto i corallari, che versavano forti contributi per la Chiesa, chiedevano di essere esauditi:
“Si va da Capo Mele alla Gallinara. Si trova anche la morte!”
“Uno dei banchi che ci dà il corallo è chiamato lo Scoglio delle vedove!”
Alla fine tutti chiesero aiuto al Vescovo di Albenga che inviò un suo Consigliere.
Questi affidò la scelta ad una mucca.
La mucca venne portata sul luogo dove si stava costruendo la Chiesa.
Bisognava osservare da quale parte avrebbe rivolto la testa. Da quale parte si girò la mucca?
Dalla parte dove ora si trova la porta.
E la nostra cara Chiesa di San Giovanni, dalle belle linee settecentesche, guarda – oggi, così come un tempo – il cielo, la terra e il mare, il Castello, l’entroterra e la Marina.
Ovunque con Amore,
ognora benedicendo



Scuola Elementare Andora e Andora Molino - Classi  I e IB Tempo modulare “Il mio tesoretto” - 1996
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LA LEGGENDA DEL PORTALE DI SAN GIOVANNI
(terza versione)


Per gentile concessione, disegno di Maria Marchiano

Poiché il Castello voleva la chiesa rivolta verso Castello, la Marina verso Marina, San Pietro verso San Pietro, si decise di aggiogare una
coppia di buoi e di avviarli attorno al perimetro dell’edificio che si stava per costruire: dove i buoi si fossero fermati spontaneamente, si sarebbe localizzata la facciata.


Alma Anfosso  “”Questa nostra Andora” – 1994
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LA LEGGENDA DEL PORTALE DI SAN GIOVANNI
(quarta versione)


Per gentile concessione, disegno di Maria Marchiano

Essendo   molti e accesi i pareri discordi in argomento, il Papa mandò un Nunzio Apostolico il quale, raggiunto il sito, si munì di un arco e scoccò una freccia; dove la freccia avesse colpito, si sarebbe aperta la porta.


Alma Anfosso  “Questa nostra Andora” – 1994
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LA LEGGENDA DEL CASTELLO
 

Per gentile concessione, disegno di Maria Marchiano

Andora era un antico feudo che, attraverso varie discendenze nobiliari, giunse a far parte del Marchesato dei Clavesana e, poi, della Repubblica di Genova.
Sorgeva sul colle dominante l’intera valle ed era borgo di mercanti, marinai, contadini che, attorno alla Chiesa, alla Torre Campanaria e al Castello, svolgevano la loro vita.
Successe che, aumentando la popolazione, parte di questa costruì casupole in pianura e cominciò la lavorazione dei campi.
Gli abitanti del colle non vedevano di buon occhio quelli della valle.
Quando le persone che abitavano lungo il Merula chiesero la costruzione della Chiesa, diventarono più focose le liti.
Chi la voleva da una parte, chi dall’altra.
Le notizie delle liti giunsero all’orecchio del Papa che, per placare gli animi, mandò un Nunzio.
Gli Andoresi lo uccisero. Grave sdegno questo fatto suscitò nel Papa il quale scomunicò Andora e ordinò che la nuova Chiesa di San Giovanni avesse la porta girata verso il monte e non verso la valle, perché gli Andoresi non erano degni di avere l’entrata della Chiesa volta verso di loro.
In seguito alla scomunica si abbattè sul Castello un’ondata di formiche che distrusse ogni cosa, rodendo le travature dei tetti e provocando i crolli delle abitazioni.
Il Castello restò deserto, da ricco diventò povero.
 Si dice anche che i bambini, lasciati nelle culle, venissero morsicati dalle formiche, le quali succhiavano il loro sangue, facendoli così morire dissanguati.


La leggenda dell’invasione delle formiche non è un caso isolato nella storia della Liguria, ricorre anche in altre località.
Per quanto riguarda Andora ricordiamo altre leggende: intorno alla fondazione della Costa Maggiore di Conna, quella della “nuova” Tigorella e quella di Moltedo più a valle di dove era un tempo.


Scuola Elementare Andora Molino - “Tra gli oleandri e il mare…alla ricerca dell’Andora perduta” - 1994 - Scritta da E. Viale
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LEGGENDA DELLA PESCA


Per gentile concessione, disegno di Maria Marchiano

Durante questo tristissimo periodo, miracolosamente, su un pesco ischeletrito fiorì e maturò una pesca.
Gli abitanti colsero il frutto e volarono a portarlo al Papa, chiedendo perdono in ginocchio.
Allora il papa revocò la scomunica e subito la situazione tornò alla normalità.



Alma Anfosso “Questa nostra Andora” – 1994
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LE FORMICHE DI MOLTEDO

Un tempo, tanti tanti anni fa, Moltedo di San Bartolomeo, una delle frazioni della nostra Andora, sorgeva a “U Cavalin”, più in alto della Moltedo di oggi.
“U Cavalin”, era percorso da rivi e piccoli stagni ai quali si abbeveravano i cavalli che, con i loro nitriti, rallegravano l’ambiente.
Le casette rustiche erano graziose tra il verde e le persone lavorano la terra ed erano contente di ciò che raccoglievano e serbavano anche per l’inverno.
Purtroppo un brutto giorno qualcuno trovò un sacco di grano quasi vuoto, un altro trovò la madia infestata dalle formiche. Ohibò! Non erano le solite formiche, ma i “cagnetti”. "Cagnetti" di qui, “cagnetti” di là, non c’era pace neppure sui tetti, i poveri tetti di giunchi intrecciati.
Un crollo qui,
un crollo là;
si va si va,
qui non si sta
o si morrà.  
Dove si va?
Più giù, laggiù.
Là c’è un bel rivo,
là c’è la terra,
là c’è la pace!
Così Moltedo
si spostò a valle;
rinacque tra il verde, tra campi e giardini,
con case sicure
e gente felice.



Scuola Elementare Andora e Andora Molino - Classi  I e IB Tempo modulare “Il mio tesoretto” - 1996
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“U CIANELUN DE BASURE” (LO SPIAZZO DELLE STREGHE)

Le bisnonne raccontavano…..
 
“Angeinin, Catainin e Netin (Angelina, Caterina e Annettina), dovendo falciare il fieno nei prati “du Pissu”, uscirono di casa nottetempo con la lanterna piena d’olio, per essere sul posto all’alba e fare un buon lavoro.
Camminavano svelte “ciaciarandu” (chiacchierando), perciò arrivarono che era ancora semibuio.
Appressandosi, con meraviglia videro nel mezzo di un prato un grande falò e, intorno, un cerchio di donne che si scaldavano le mani.
Si avvicinarono per salutare, come si usa: ma, risuonando i passi, di soprassalto le donne si volsero… e in un istante tutto dileguò!
Capite?... Erano “basure!”.
Le bisnonne aggiungevano: ”Proprio Angeinin (o Cateinin , o Netin) a me l’a ditu! (Me l’ha raccontato) e concludevano “Appena un poco rinfrancatesi “ i se sun segnàe” (si sono fatte il segno della Croce) e sono fuggite. Ma che spaghettu… (cioè, che tremarella…)”.


Alma Anfosso  “Questa nostra Andora” – 1994
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IUS – PRIMAE- NOCTIS


Per gentile concessione, disegno di Maria Marchiano

Si diceva che i frati della chiesa dei santi Giacomo e Filippo possedessero un canale sotterraneo che giungeva sino a Finale Ligure.
Ogni volta che vi era un matrimonio, i frati erano soliti chiedere allo sposo di poter passare la prima notte di nozze con la sposa.
Se lo sposo si rifiutava, veniva richiamato dopo quattro o cinque giorni e costui non poteva più respingere l’invito.
Veniva portato in un lungo corridoio che doveva percorrere da solo.
In fondo vi era un rullo (o masso) collegato ad un meccanismo che azionavano i frati appena l’uomo fosse arrivato in fondo; nello stesso tempo si apriva una botola sotto i piedi della vittima e, nel canale sotterraneo, spuntavano coltelli piantati al suolo per il manico con le lame rivolte verso l’alto.
La vittima veniva schiacciata e uccisa nel percorso del canale.


Scuola Elementare Andora Molino - “Tra gli oleandri e il mare…alla ricerca dell’Andora perduta” - 1994 - Scritta da N. Caramello
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LA LEGGENDA DELLO SCOGLIO DELL’ANIMA DANNATA



Anche Conna ha le sue leggende: una di queste è proprio la leggenda de “Lo scoglio dell’anima dannata”.

In mezzo ai verdi prati di Conna, un po’ sopra la chiesa di S. Andrea, si dice che ci sia una piccola, ma profonda caverna.
Questa leggenda forse aveva un po’ il compito di spaventare i bambini che portavano le bestie al pascolo.
Si dice, infatti, che in questa caverna vivesse un’anima e che ogni tanto si sentissero i suoi lamenti; per la precisione ogni venerdì.
Mia   nonna mi ha raccontato anche che, quando era bambina, approfittando di questa leggenda, assieme alle sue amiche, faceva scherzi alla gente.
Andavano nei prati e una di loro si nascondeva e si metteva a fare strani versi, così tutti scappavano spaventati.


Scuola Elementare Andora Molino - “Tra gli oleandri e il mare…alla ricerca dell’Andora perduta” - 1994 - Scritta da L. Guardone
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LA LEGGENDA DEL TORO D’ORO


Per gentile concessione, disegno di Maria Marchiano

Tanti anni fa, quando Napoleone combatteva in Italia, rubava molto oro ma, non riuscendo a tenerlo tutto a mucchi, decise di fonderlo per realizzare un toro d’oro.
Non si sa perché lo abbia sotterrato davanti al Castello di Andora.
La leggenda narra che questo toro, di notte, esca.
Infatti di giorno si trovano le buche che ha scavato per uscire.
NESSUNO, PERÒ LO HA MAI VISTO!


Scuola Elementare Andora Molino - “Tra gli oleandri e il mare…alla ricerca dell’Andora perduta” - 1994 - Scritta da F. Floris
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LA PENTOLA CON I MARENGHI D’ORO


Per gentile concessione, disegno di Maria Marchiano

Al bisnonno di Andrea Gallizia, che era stato parecchi anni a Marsiglia, avevano detto che, nella zona di Andora, alcuni Francesi avevano nascosto una pentola di terracotta con dei marenghi d’oro, in attesa di poter passare il confine con tutto il tesoro.
Poi il bisnonno tornò ad Andora e, un giorno che andava a Laigueglia, passando per la collina, sulla cima di Capo Mele vide un pilone rotto, dove erano ancora i cocci attaccati di una vecchia pentola di terracotta: chissà se era la pentola di cui gli avevano parlato i Francesi?


Scuola Elementare Andora Molino - “Tra gli oleandri e il mare…alla ricerca dell’Andora perduta” - 1994 - Scritta da F. Floris
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LA LEGGENDA DELLA GIARA DEGLI “ARAMANNI” (O ALEMANNO O ALAMANNO O ALAMANNI)


Per gentile concessione, disegno di Maria Marchiano

In una   fredda e piovosa notte di dicembre, bussò alla porta degli Alemanno un povero viandante coperto alla meglio di vecchi panni inadeguati al tempo e alla stagione.
“Fatemi la carità, datemi un po’ d’olio!” Gli Alamanni erano in quel tempo, notoriamente, produttori di olio.
“Non ne abbiamo più! In tanti ce lo chiedono e ormai la giara è vuota”.
Ma, mossa a compassione, la padrona seguita dal viandante, attingendo alla giara, con fatica, riuscì a raschiarvi un poco del prezioso liquido, che rifulse come oro, lo versò in una tazza e lo diede al poveretto, il quale sorrise, ringraziò e se ne andò.
Tornata presso la giara, la brava donna la guardò sospirando, e sussultò, si   stropicciò gli occhi, le mancò il fiato: la giara era colma ma così colma che quasi traboccava.
Incredula, recuperò lo spirito per correre alla porta, spalancarla, scrutare fuori.
Il viandante non c’era più.
Ma, in fondo, alla svolta, sul sentiero, tremolava, con il brillio dell’oro, una piccola luce sospesa nell’aria, simile ad un lumino ad olio.
La padrona cadde in ginocchio e gli occhi le si riempirono di   lacrime: “Era Gesù”.
Da quel giorno l’olio non mancò mai più per le elemosine in quanto la giara, svuotata, si rinveniva poi, sempre, misteriosamente piena”.


Alma Anfosso “Questa nostra Andora” – 1994


La Giara degli Alemanni
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LA LEGGENDA DELL’UOMO CON DUE VOCI E DUE TACCHI

In una caverna sul colle viveva un uomo che aveva due caratteristiche. La prima era questa: parlava con due voci, una dolce e armoniosa da ragazzina e l’altra profonda e grossa, tipica di un omone
La sua seconda particolarità era che non voleva far vedere dove andasse e, perciò, indossava delle scarpe con due tacchi: era, in questo modo, difficile comprendere i suoi spostamenti.
Ogni mercoledì notte si sentivano lamenti che sembravano emanati da due persone, erano flebili e profondi. Invece era solo questo strano uomo che parlava alla luna, dove credeva fossero andati tutti i suoi amici, morendo.
Un giorno venne rubata una capra ad un contadino e poi venne ritrovata uccisa per la strada che portava alla caverna di quest’ uomo.
I carabinieri lo arrestarono, perché sospettavano che fosse lui ad averla rubata e uccisa e lo portarono in un frantoio abbandonato, dove lo picchiarono.
L’uomo non parlava: i carabinieri, allora, per farlo confessare, lo spogliarono e lo misero in pozzo colmo di acqua ghiacciata.
La gente, però, sapeva che era un tipo mite che non faceva del male a nessuno.
Da allora non si sa più nulla di lui.


Scuola Elementare Andora Molino - “Tra gli oleandri e il mare…alla ricerca dell’Andora perduta” - 1994 - Scritta da M. Caramello
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LA LEGGENDA DELLA CASA DI MARTA “LE BASUE”


Per gentile concessione, disegno di Maria Marchiano

La casa di Marta, che si trova in mezzo agli alberi di olivo, sotto l’autostrada, vicino al casello, ormai è un rudere.
Accanto a questa casa vi è pure una torretta di cui si dice che il suo proprietario, più di cento anni fa, mentre la costruiva, cantasse ininterrottamente litanie religiose.
La nonna mi narra che i vecchi di cento anni fa raccontavano una leggenda e dicevano che c’erano le “basue” (streghe) e che si riunivano tutti i venerdì per ballare, prendere il caffè e fare delle stregonerie.
Vicino a questa casa c’era una strada molto frequentata da gente che andava a Laigueglia a portare il latte e i prodotti agricoli.
Dicevano i vecchi che queste streghe si nascondevano e facevano versi strani alle donne e ai bambini che passavano di lì ed avevano paura; però non si presentavano agli uomini, perché venivano sconfitte molto duramente con una forte bastonata.


Scuola Elementare Andora Molino - “Tra gli oleandri e il mare…alla ricerca dell’Andora perduta” - 1994 - Scritta da S. Ziliani


Cà de Marta
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LA CASSA DEL TESORO


Per gentile concessione, disegno di Maria Marchiano

Durante la Seconda Guerra Mondiale, le forze militari Repubblichine e quelle dell'Esercito Tedesco, di stanza sul territorio andorese, dislocarono i propri contingenti presso residenze strategiche per importanza e posizione.
Tra queste, Villa Laura, Villa Stampino ed il Palazzo del Marchese Umberto Maglioni a Castello.
Il Marchese Umberto, sordomuto, era noto per avere un carattere particolare, amando trascorrere parte del suo tempo in tranquillità e solitudine.
Trovandosi a dover subire l'occupazione della propria residenza da parte di gruppi di estranei, oltretutto armati, fu indotto a cercare spesso rifugio negli angoli poco frequentati del suo amato Borgo di Castello e dintorni.
Secondo i racconti di alcuni anziani del luogo, in tale periodo raccolse quanto di più prezioso possedeva, di nascosto dagli "invasori della sua casa", racchiudendoli all'interno di una cassa legata da una catena, che fece sparire, nascondendola in un luogo che ritenne sicuro, grazie all'aiuto s un fedele amico, di cui non si conoscono le generalità.
Tra gli oggetti che si tramanda fossero in suo possesso, c'era una "statua" in oro massiccio alta circa tre palmi, riproducente lo stemma marchionale di famiglia, ovvero un "leone rampante che brandiva un martello", posizionato su un basamento di pietra di valore e decorato.
La cassa fu nascosta in qualche punto particolare e mai più dissotterrata, perchè Umberto ritenne, dopo la fine della guerra, che non fosse ancora venuto il momento, oltre che per il peggioramento del suo stato di salute.
Pertanto, ciò rimase solo un "raro" ricordo, presto dimenticato.
Chi era a conoscenza del fatto, pensò sempre che si trattasse di un nascondiglio nel Borgo di Castello, forse nei suoi terreni di proprietà.
Verso la seconda metà degli anni '70 del Novecento, si racconta che un andorese, probabilmente il fedele amico che aveva aiutato Umberto, o qualcuno che aveva ricevuto informazioni in merito, in punto di morte confessò il presunto luogo in cui sarebbe stata sotterrata la cassa con il prezioso contenuto.
Poco tempo dopo, una domenica mattina di novembre, due cacciatori andoresi, durante la solita "battuta di caccia", passando nei pressi di un Oratorio, si imbatterono in un grosso scavo effettuato, probabilmente il giorno prima o nella notte stessa, in prossimità di un manufatto in muratura a secco.
Nel terreno smosso furono rinvenuti due "lastroni" di pietra (una sorta di copertura di protezione?) dei frammenti di una presunta cassa di legno, tra cui uno spigolo della stessa riportante un rinforzo decorato in metallo ed un tratto di catena spezzato.
Uno dei due cacciatori ricordò la "storia" del "tesoro del Marchese", associandolo al ritrovamento di quella mattina di caccia.
Tuttavia, nulla si seppe mai di preciso anche negli anni seguenti, tranne che, col senno di poi, alcuni riferirono di essere stati incuriositi in precedenza dal luogo del presunto ritrovamento. in quanto il manufatto murario "scavato" presentava un aspetto che nell'insieme rivelava un qualcosa di diverso rispetto al resto circostante.
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IL PASSAGGIO SEGRETO


Per gentile concessione, disegno di Maria Marchiano

Secondo un ricordo di Luciano Dabroi, riferito ad un racconto di un suo parente anziano, il Marchese Umberto Maglioni, il “Muto di Castello”, poco tempo prima del proprio trasferimento ad Alassio, avrebbe rinvenuto un passaggio segreto che dalle prigioni del Castello conduceva fuori dall'originaria cinta muraria di fortificazione, in prossimità della fontana medievale.
L'ingresso e l'uscita sarebbero state protette da grossi macigni ed in un tratto di tale passaggio segreto sarebbe stata creata una “botola tranello”, costituita da una sorta di pozzo che conteneva infisse sulle pareti delle lame di spade che maciullavano senza scampo i malcapitati.
Anche in questo caso non si sono trovati successivi riscontri in merito, sebbene non risultano eventuali specifiche ricerche effettuate.

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Per informazioni scrivere a info@andoraneltempo.it
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