NASCITA DEL COMUNE DI ANDORA - Andora nel tempo

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NASCITA DEL COMUNE DI ANDORA

STORIA E DOCUMENTI > STORIA ANDORESE
LA NASCITA DEL COMUNE DI ANDORA TRA GENOVA E MARCHESI DI CLAVESANA
(Marco Vignola)
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"Veduta del paese e dello castello di Andora, dalla strada antica detta romana, fra detto paese e Laigueglia" - Alfredo d'Andrade - 18 febbraio 1883
Galleria di Arte Moderna di Torino - Collezione privata Marino Vezzaro
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Se la collina del Castello, con la sua chiesa, la torre e la fontana ci raccontano la storia di una comunità già fiorente nello splendore del Duecento, è tuttavia vero che le vicende di Andora hanno radici ben più profonde e remote, purtroppo scarsamente conosciute e non ancora sufficientemente indagate.
Il ritrovamento negli anni ‘30 di un sarcofago contenente le spoglie di sei inumati, unito a quello di un centurionale (moneta) di Costanzo Gallo (IV sec.) e a numerosi frammenti di ossa e di tegole, indica piuttosto chiaramente come nella piana andorese dovesse esistere un insediamento già in epoca tardo antica, ipotesi peraltro avvalorata dagli scavi recentemente condotti nella zona del castello (1988-1994, in attesa di pubblicazione), che hanno posto in luce le strutture di una vasca per la raccolta dell’acqua, risalente al medesimo periodo.
 
Se le tracce di una “Andora romana" sono ancora piuttosto labili ed incerte, i dati dei quali disponiamo per descrivere la situazione del suo territorio in età altomedievale, purtroppo, sono ancora più scarni: sempre dalle indagini archeologiche effettuate entro il recinto del Paraxo è comunque emersa una fornace per la fusione del bronzo (databile al IX-X sec.), traccia importante di una continuità insediativa mai interrotta nemmeno negli anni “oscuri” che precedono l’apparizione delle prime testimonianze d’archivio.
Sul palcoscenico della storia documentaria, infatti, Andora fa la sua comparsa piuttosto tardi in rapporto alla precocità delle attestazioni archeologiche, vale a dire nel 1170, in occasione di una convenzione stipulata tra i suoi signori, Guglielmo e Bonifacio di Clavesana ed il comune di Albenga.
In questo tratto leggiamo come i marchesi si impegnassero a distruggere cinque castra nova, tra i quali figurava quello di Andora, in cambio di una cifra complessiva di 400 lire che gli Ingauni avrebbero dovuto corrispondere in due rate, l’ultima delle quali in anticipo sulla effettiva smilitarizzazione del fortilizio andorese: contestualmente, a titolo di assicurazione i marchesi avrebbero concesso in pegno il loro feudo di Stellanello.
Nell’ambito dei cinque castelli di cui si disponeva lo smantellamento, quello di Andora sarebbe stato l’'ultimo a subire una sorte tanto triste, forse perché nell’ambito dei possedimenti marchionali occupava una posizione particolarmente strategica o perché assolveva a funzioni residenziali, oltreché militari.
A quell’epoca, comunque, la comunità andorese doveva essere abbastanza prospera e ormai avviata sul cammino di una prima autonomia “comunale”, verso la quale i marchesi di Clavesana nutrivano forse una certa dose di sospetto e diffidenza.
Da un testo di epoca posteriore, infatti, ci è giunta notizia di un accordo di natura fiscale intercorso nel 1186 tra Genova e gli homines de Andoria, indice piuttosto esplicito di come già alla fine del XII sec. gli Andoresi dovessero ormai possedere qualche principio di autogoverno e una personalità giuridica autonoma rispetto alla signoria dei feudatari.
 
Qualche altro indizio per cercare di capire fino a che punto gli uomini di Andora si fossero realmente spinti sulla strada di una maggiore autonomia, lo ritroviamo poi in una convenzione stipulata il 16 settembre 1233 tra Genova, da una parte, e Bonifacio Tagliaferro e Bonifacio figlio di Oddone, marchesi di Clavesana, dall’altra. In questo documento, ove i due Bonifaci promettevano di spendere 2000 lire in collectis comunis Ianue (2) e di prendere parte alle sue spedizioni militari, leggiamo come Genova si impegnasse, dal canto proprio, a garantire i possedimenti dei marchesi distruggendo quelle rassas et iuras presentes et futuras fossero state costituite dagli uomini delle località soggette alla loro giurisdizione.
In aggiunta a questo riferimento generico alle associazioni giurate di cittadini, dette appunto rasse, troviamo un ulteriore richiamo ad un non meglio specificato regimen quod faceret comunitas Andorie contra id quod concessisset alucui ex dominis suis per cartam (3).
La frase è particolarmente interessante per i suoi sottintesi.
Il semplice fatto che al termine dell’accordo ci si riferisse in maniera così esplicita al caso andorese (unica tra tutte le località elencate in precedenza), indicherebbe come Bonifacio Tagliaferro e Bonifacio di Oddone considerassero assai probabile il rischio di una sedizione da parte degli uomini di quella comunità, forse per via di una particolare ostilità della popolazione locale al loro controllo.
In secondo luogo, il riferimento a ciò che i Clavesana avevano concesso per cartam ai loro sottoposti (ovvero con un atto formale), suggerirebbe che gli Andoresi (o quantomeno alcuni tra i cittadini più in vista) avessero ormai raggiunto il riconoscimento per iscritto di alcune loro “consuetudini”, primo passo verso la costituzione di una forma di reggimento comunale.
È difficile indovinare se i marchesi si riferissero a diritti già concessi o se volessero solo contemplare una ipotesi fino ad allora non realizzata, ovvero se al momento della stesura del trattato del 1233 ad Andora esistessero davvero delle associazioni di cittadini ufficialmente riconosciute, in grado di esercitare un effettivo ruolo “politico” in dialettica o in opposizione al potere marchionale.
Dobbiamo tuttavia sottolineare come in altre località del Ponente ligure, quali Porto Maurizio e Diano, l’attestazione di consoli cittadini sia piuttosto precoce e si dati già al 1165.
Non parrebbe dunque illogico che anche ad Andora, dove la prima notizia sicura della costituzione di un comune dovrebbe risalire solo al 1252, si fosse in realtà giunti a tale passo ben prima, in un periodo forse precedente al trattato con Genova del 1186 e quindi non troppo distante dalla più antica menzione dei consoli della vicina Diano.
Potrebbe condurci in questa direzione la clausola sullo scioglimento delle rasse che ritroviamo piuttosto precocemente, nel 1192, in una convenzione stipulata tra il comune di Genova e Bonifacio di Clavesana, nella quale ambo le parti si impegnavano a non permettere la creazione di iura aut rassa conspiratione (4) tra gli abitanti della Marca (e specialmente gli homines Albingane, Andorie, Servi, Diani, Portusmauricii, Casstellarii, Tabie et Dulcedi) e qualsiasi altro abitante in un’area compresa tra Genova e Monaco.
Dietro a una simile norma, è ovvio, si può scorgere una reazione signorile al “fermento” di tante piccole comunità in fase di affermazione e di progresso economico e politico, ancora sottoposte (e forse di controvoglia) alla giurisdizione dei Clavesana, ai quali dovevano pure la corresponsione del fodro marchionale (5).
L’intervento di Genova, beninteso, non era disinteressato e non andava di certo nella direzione di un appoggio senza condizioni alle pretese dei marchesi: Genova, piuttosto, doveva mirare a mantenere nella zona della Marca un equilibrio di poteri che da una parte favorisse la sua penetrazione politico-economica e dall’altra tagliasse le gambe a località quali Albenga e Porto Maurizio, forti abbastanza da costituire una minaccia alla sua egemonia su buona parte del Ponente ligure.
Non può essere un caso che le già citate concessioni di natura fiscale fatte agli homines (uomini) di Andora nel dicembre 1186 seguissero di pochi mesi appena l’alleanza militare siglata nell’ottobre dello stesso anno da Savona, Albenga e Porto Maurizio (cui, in seguito, si sarebbe aggiunta anche Noli), dietro alla quale non era difficile intravedere un istinto anti-genovese, per quanto le clausole del trattato ne escludessero ufficialmente l’eventualità. Genova, evidentemente, attraverso la concessione di privilegi fiscali aveva pensato di ingraziarsi l’appoggio degli Andoresi per inserire una propria “testa di ponte” tra due comunità potenzialmente ostili, quali Albenga e Porto Maurizio, secondo uno schema assolutamente compatibile con quell’idea del divide et impera che avrebbe in molti casi indirizzato le sue mosse sul difficile e frammentato scacchiere ligure.
Anche il riconoscimento della giurisdizione di Bonifacio di Clavesana su tutta la Marca di Albenga (contenuto nel già citato accordo del 17 dicembre 1192) andava ovviamente in questa direzione; soffiando sul fuoco delle rivendicazioni del marchese, voleva forse essere uno spauracchio per gli Ingauni, animati da forti spinte autonomistiche.
Quando tra il 1199 ed il 1202 Savona, Diano, Albenga, Porto Maurizio e Noli si sottomisero nuovamente, Genova non tardò tuttavia a riconoscere le rispettive giurisdizioni.
La particolare instabilità dell’area della Marca, dove la centrifuga dei nascenti comuni si opponeva alla persistenza dei diritti feudali e dove Genova giocava un ruolo quantomeno ambiguo di interlocutrice ora di questa ora di quella fazione, l’instabilità della Marca, si diceva, sarebbe comunque apparsa in tutta la sua portata nel 1202, anno in cui si venne a formare una coalizione (detta iura) che raccoglieva gli uomini della Valle Arroscia e della Valle di Andora, di Oneglia, di Rezzo e di Nasino.
Il riconoscimento da parte genovese di una simile associazione giurata, in netto contrasto con le clausole dei trattati fino ad allora stipulati con i marchesi di Clavesana, implicava una serie di concessioni agli aderenti alla Iura che ebbero un peso fondamentale sull’economia di queste vallate.
 
In primo luogo si permetteva loro di esportare merci da Genova, si tributava il diritto di ricorrere in giudizio alla Curia Genovese e, quel che più conta, si disponeva l’apertura di due mercati annuali; uno presso Andora, da tenersi il primo di agosto, ad Oneglia, il primo di novembre.
Questi mercati, giova sottolinearlo, avrebbero dovuto essere retti da ufficiali provenienti da Genova, incaricati di dirimere le controversie e di amministrare la giustizia, mentre per gli scambi commerciali si sarebbe imposto l’uso d’unità di peso e di misura genovesi.
Si trattava, in sostanza, di provvedimenti che di fatto emancipavano economicamente e giudiziariamente quegli uomini dai loro signori, danneggiavano fortemente i centri vicini (Albenga e Porto Maurizio, in primo luogo, i quali vedevano dirottate sui nuovi mercati molte delle merci provenienti dall’entroterra) e contestualmente rafforzavano la presenza di Genova nella zona, con l’adozione delle sue unità di misura ed il ricorso alla sua giustizia.
Il valore politico, oltreché prettamente economico, di collocare le due nuove fiere nei territori di Andora e di Oneglia era dunque indiscutibile ed andava ovviamente nella direzione di un indebolimento sia di Albenga che di Porto Maurizio, tradizionalmente ostili a Genova.
Il fatto poi che si concedesse agli uomini della Iura di appellarsi al giudizio genovese qualora aliquis de comitatu Vintimilii, de marchia Albingane et episcopatu Saone avesse cercato di imporre loro qualcosa contra ius, rendeva di fatto queste comunità una sorta di “protettorato” genovese, a tutto danno dei comuni costieri non interessati dal patto e dei signori della Marca, i quali vedevano l’ombra minacciosa di Genova stagliarsi sulle loro rivendicazioni di natura feudale.
Anche da un punto di vista prettamente militare, inoltre, la Iura aveva un peso non trascurabile.
In breve, infatti, scoppiò una guerra tra questa associazione giurata ed i centri costieri, nella quale i danni maggiori toccarono a Porto Maurizio e a Diano. L’andamento ed i movimenti della guerra non sono del tutto chiari, così come le ragioni stesse del riconoscimento della Iura da parte genovese.
Negli Annali, ci è giunta notizia di come già nel 1203 fossero scoppiati dei disordini tra gli Ingauni e gli uomini della Valle Arroscia, risolti grazie ad una mediazione di podestà di Genova e tramite l’imposizione di una collecta (tassa) di 50 lire ai valligiani.
Quel che è certo, tuttavia, è che nel 1204 il comune di Genova faceva un passo indietro e interveniva pesantemente a favore dei centri costieri e a danno della medesima Iura, disfacendo in pratica quanto aveva costruito solo due anni prima, forse intimorito dai risvolti “bellicosi” assunti dall’associazione.
Il podestà Guifredoto Grassello, lo stesso del 1203, dopo un intervento dei milites (cavalieri) genovesi contro i “ribelli” della Valle Arroscia, il 17 agosto 1204 impose la pace e la remissione dei danni reciproci, ordinando al contempo che un gran numero di località costiere, tra le quali Andora ed Oneglia, si offrissero aiuto l’un l’altra in caso di guerra mota … ab hominibus iure vallis Arrotie et vallis Unelie vel ab aliis de montaneis partibus (6).
Nei due anni intercorsi tra il 1202 e il 1204, dunque, Andora aveva già abbandonato la Iura cui aveva aderito nel 1202, all’epoca della concessione del diritto di fiera; non è comunque facile indovinare quale sia stato il suo ruolo nelle fasi del conflitto o in quale occasione sia avvenuta la “scissione” (se di scissione possiamo parlare) con le comunità dell’entroterra, per le quali il mercato andorese, così vicino alla via del mare, doveva essere uno sbocco commerciale privilegiato.
È un dato che nel 1204 la comunità di Andora pareva ormai essersi allontanata dalle posizioni espresse dalla Iura, forse a seguito di liti interne alla associazione stessa, oppure in ossequio al volere marchionale, o ancora per non andare incontro allo sfavore di Genova, cui si doveva la recente concessione del diritto di fiera.
 
Dopo essere stata una delle protagoniste di questo periodo tanto burrascoso e complicato, purtroppo, Andora scompare per circa un ventennio dalla storia documentaria.
Nel 1226-27 fu probabilmente coinvolta nel conflitto tra i marchesi di Clavesana e Genova, dal quale Oddone e Bonifacio Tagliaferro, successori di Bonifacio, deceduto nel 1221, uscirono sconfitti.
A seguito di questo rovescio militare, i marchesi dovettero vendere al comune vincitore i castra e le ville di Diano, Portomaurizio, Castellaro, Taggia, San Giorgio e Dolcedo (con le relative vallate), in cambio di una rendita annua di 250 lire; nell’ambito dell’accordo, siglato il 1 giugno 1228, i feudi di Stellanello e di Andora venivano messi sul tavolo a titolo di garanzia, a salvaguardia degli impegni assunti.
Per i marchesi si tratto forse di un sacrificio abbastanza limitato, visto come i loro diritti su località quali Portomaurizio e Diano dovessero essere in ogni modo osteggiati dalle popolazioni locali; a partire da questa data, comunque, la Marca cominciava effettivamente e disgregarsi sotto la spinta delle armi e della diplomazia genovese.
Se anche i Clavesana conservavano Andora e Stellanello, i marchesi dovevano comunque garantire a Genova il diritto di imporre l’exercitum et cavalcatam (7) sugli uomini delle due comunità ed inoltre rinunciare alla gabella del sale, i cui diritti venivano riservati al medesimo comune, insieme alla consueta esazione di 7 lire per la custodia del castello di Bonifacio.
A parziale contropartita della perdita dei diritti su tale gabella, i Clavesana ottenevano lo scioglimento di tutti i giuramenti con i quali gli Andoresi si erano nel tempo legati al comune di Genova.
 
Se anche un simile accordo pareva rafforzare la presa di Oddone e Bonifacio sul loro feudo di Andora, gli eventi degli anni successivi, tuttavia, ci dimostrano fino a che punto il potere dei Clavesana su questo territorio fosse ormai consunto e ridotto alla trama.
Il trattato del 1233 (quello in cui Genova si impegnava a sciogliere le rasse costituite dagli Andoresi, per intenderci) rafforza infatti il sospetto che l’impulso all’autodeterminazione della comunità di Andora non fosse affatto sopito; non si capirebbe, altrimenti, il bisogno di inserirvi ulteriori clausole a tutela dei diritti dei Clavesana, già ribaditi solo cinque anni prima nel trattato del 1228.
La situazione finanziaria dei marchesi, inoltre, andava facendosi sempre più critica, nonostante il lauto vitalizio ottenuto con la cessione di Portomaurizio, Diano e delle altre località incluse nella vendita del 1 giugno 1228. Ad aver gravato ulteriormente sulle loro casse, ormai esangui, doveva aver contribuito l’ennesima rivolta dei valligiani aderenti alla Iura, scoppiata nel 1233; di conseguenza, i Clavesana dovettero contrarre una serie di debiti con alcuni cittadini genovesi ed albenganesi.
Susseguendosi intanto le cessioni e le ipoteche, i marchesi giunsero fino al punto di obbligare la rendita che il comune di Genova annualmente gli erogava Sempre più pressati dai debiti, l’8 giugno 1236 la contessa Mabilia (vedova di Oddone, morto prima del 16 settembre 1233) e suo figlio Bonifacio, dovettero piegarsi a concedere in garanzia metà del castello e della villa di Andora, con lo scopo di lucrare un mutuo di 330 lire da Enrico Cepolla: era il preludio della vendita.
 
Il 3 luglio 1237, infatti, l’altra metà del feudo fu ceduta per 5000 lire da Bonifacio Tagliaferro ai fratelli Manuele e Lanfranco Doria.
 
Mabilia e Bonifacio, rimasti in possesso della loro parte, ma stretti sempre più alle corde, offrirono il loro appoggio alla fazione filo-imperiale nella guerra che in quegli anni contrapponeva Genova a Federico II di Svevia; si allearono dunque con Albenga e fortificarono il castello di Andora.
A questi anni possiamo forse far risalire il rafforzamento della poderosa Porta-torre, che venne senz’altro ad inglobare le strutture di un edificio più antico; parte dei debiti contratti dai Clavesana in quel periodo, infatti, potrebbero essere giustificati dalle spese incontrate in una simile ristrutturazione.
Contro Mabilia e il giovane Bonifacio si mosse allora un corpo di spedizione genovese, il quale, sbarcato sulle coste di Andora il 25 agosto 1242, ne devastò il territorio, tagliando le vigne, i frutteti e dando il guasto alle coltivazioni. In quel periodo, alcune navi di Andoresi erano tirate in secca sull’arenile; anche queste furono impietosamente distrutte e bruciate.
Per la comunità fu senza dubbio un danno enorme, non compensato dall’esito della guerra, nella quale Genova ebbe la meglio sui ribelli delle Riviere e sulla parte imperiale.
Dopo anni di scontri, infine, il 17 febbraio 1251 fu stipulata la pace tra la Superba e i Clavesana.
 
Le clausole stabilite dai vincitori, apparentemente miti, costringevano in realtà i marchesi alla rifusione dei debiti precedentemente contratti; la loro incapacità a far fronte a simili spese ebbe tuttavia il risultato piuttosto scontato di costringerli alla vendita di quanto ancora possedevano del feudo di Andora.
 
Il 7 giugno 1252, per la cifra di 8000 lire, Manuele e Francesco, figli di Oddone di Clavesana e fratelli di Bonifacio, cedettero a Porchetto Streiaporcus il castello, la villa, il borgo e il distretto di Andora.
Il giorno dopo, Porchetto trasferì tutti i diritti al comune di Genova, a nome del quale aveva effettuato l’acquisto.
Con le 8000 lire spettanti ai marchesi vennero quindi saldati i debiti che costoro avevano lasciato in sospeso, mentre i creditori, ricevuto quanto gli spettava, rinunciavano ad ogni rivendicazione sul loro antico feudo andorese.
In questo modo, Genova acquisiva la totalità degli antichi possessi marchionali e per Andora si chiudeva “epoca feudale”; da lì a pochi anni, sotto l’egida dei Genovesi, sarebbe stata eretta la chiesa dei SS. Giacomo e Filippo, la più splendida tra le icone del nostro tardo-medioevo.
 
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Questo contributo, volutamente privo dell’apparato critico per renderlo nei limiti del possibile più snello e meno “tecnico”, rappresenta una sintesi ed una anticipazione delle problematiche storiche esposte nel convegno “Andora, 800 anni di una storia più che millenaria”, tenutosi presso la chiesa dei Ss. Giacomo e Filippo il 15 settembre 2002.
 
Ci scusiamo con i lettori per la difficoltà di alcuni passaggi, necessariamente complessi e difficoltosi, ma le tematiche toccate hanno richiesto una trattazione piuttosto “rigorosa”, aderente al testo dei documenti consultati. Il lavoro di ricostruzione e di ricomposizione delle fonti, inoltre, esige tra l’altro l’elaborazione di ipotesi e di collegamenti che inevitabilmente appesantiscono la lettura con molti nomi e molte date. Ciononostante, non ho voluto omettere le molteplici questioni inerenti la nascita del Comune, attraverso le quali, a mio avviso, si ricava uno spaccato molto vivace e colorato dell’ambiente politico nel quale gli homines de Andoria si trovarono a vivere ed operare in un’epoca tanto lontana quanto affascinante.
 
  • 2 Le collecte erano un genere di tassa imposta da Genova ai suoi feudatari.
  • 3 L’espressione si può forse tradurre con “il reggimento (ovvero il governo) che facesse la comunità di Andora contro ciò che fosse stato concesso a qualcuno dei suoi maggiorenti con un atto scritto”.
  • 4 Ovvero di qualsiasi associazione non riconosciuta a livello ufficiale.
  • 5 Nell’Italia medievale il fodro era un donativo dovuto al re, in natura nell’XI secolo e poi in denaro. Dal sovrano questa tassa passò ai marchesi, conti, vescovi, abati, città e quindi a grandi e medi proprietari. Fu una delle principali ragioni di scontro tra Federico Barbarossa e le città lombarde.
  • 6 “...condotta dagli uomini della Iura della Valle Arroscia, della Valle di Oneglia o da altri provenienti dalle zone montane”.
  • 7 L’obbligo di facere exercitum et cavalcatam (letteralmente di “fare esercito e cavalcata”) implicava l’onere di fornire un aiuto militare concreto nelle guerre che fossero state combattute dai Genovesi.
           
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