SVILUPPO URBANISTICO - MOLINO NUOVO - Andora nel tempo

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SVILUPPO URBANISTICO - MOLINO NUOVO


SVILUPPO URBANISTICO - MOLINO NUOVO
(Mario Vassallo)

CATASTO NAPOLEONICO E CATASTO IMPIANTO SU FOTO AEREA
FOTO AEREA SU CATASTO NAPOLEONICO
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SVILUPPO URBANISTICO
MOLINO NUOVO
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L’elemento che più colpisce l’attenzione con la consultazione della cartografia napoleonica è l’assoluta assenza di Molino Nuovo.
Le fonti documentali che trattano in varie pubblicazioni questo argomento, cioè la borgata di Molino Nuovo tendono sempre a descriverlo come il centro “cittadino” antico, attribuendogli indirettamente un’importanza epocale piuttosto antica, ed invece dall’analisi attenta del Catasto Napoleonico emerge come Molino Nuovo, sorprendentemente, non sia altro che la borgata antica più giovane di Andora, essendosi formata alla fine della seconda metà dell’Ottocento, con il suo “giovane” secolo e mezzo di esistenza.
In epoca napoleonica del nucleo edificato che conosciamo oggi non esisteva assolutamente nulla.


Riproduzione grafica vettorizzata secondo il Catasto Napoleonico:
in rosso - i fabbricati
in verde - corti e aie
in giallo - i percorsi stradali
in blu - canali e corsi d'acqua
@ Mario Vassallo - 2022

Sino a tale periodo, infatti, la Borgata Duomo comprendeva un po’ tutta l’area territoriale fino all’alveo del Torrente Merula; le case che costituiscono oggi Molino Nuovo non esistevano e anzi, la sponda dell’alveo stesso del torrente coincideva con l’attuale strada via Molineri ed in prossimità dell’incrocio con “u Besàgnu” era presente un isolotto fluviale; gli unici fabbricati presenti sono quello a noi conosciuto come “Villa Musso”, di superficie/sagoma ridotta rispetto all’edificio della fine del Novecento (prima dell’intervento di ristrutturazione che l’ha trasformato in una sorta di condominio) e quella che era forse l’originaria costruzione (di dimensioni ridotte rispetto alla consistenza successiva) che diventerà il Mulino di Rafè.
Sull’isolotto fluviale, di ragguardevoli dimensioni e già suddiviso in appezzamenti, venne costruito il “mulino nuovo” costruito dalla famiglia Anfosso (in sostituzione del “mulino vecchio”, ovvero il mulino a vento posto sul Poggio Ciazza) ed affidato alla conduzione della famiglia Siccardi: questo sarà l’insediamento che spingerà materialmente alla futura formazione dell’intero nucleo abitato e della nuova borgata, segnando marcatamente la denominazione di riferimento nell’uso popolare diventando il “molinovo” (“u muŗinövu”) e successivamente Molino Nuovo.
Il “mulino nuovo” degli Anfosso determina una novità rispetto a tutti gli altri frantoi/gumbi esistenti, poiché è il primo (nel territorio andorese) ad essere realizzato direttamente sul corso del Torrente Merula, mentre tutti gli altri sono spostati rispetto al flusso della corrente principale ed in posizione altimetrica rialzata rispetto allo sviluppo dell’alveo torrentizio, principalmente per proteggersi dalle periodiche ed improvvise piene, le quali avrebbero messo in pericolo l’incolumità degli edifici e impianti stessi, risultando ubicati in prossimità di opere idrauliche secondarie, tipo canali, fossati, rii, beudi.
Probabilmente il concetto che spinge alla costruzione del “molino nuovo”, mira a creare un insediamento produttivo potenziato dal maggiore flusso idrico dovuto ad una corrente naturale di maggiore entità rispetto alle più ridotte e maggiormente controllabili opere idrauliche secondarie (canali, beudi, ecc.).
Il “molino nuovo” sorge non lontano dal “gumbo” esistente dei Musso (poi noto come “u gumbu de Rafè”), in prossimità di uno slargo che veniva utilizzato per la lavatura delle materie prime, su un appezzamento che in alcuni periodi di piena del Torrente Merula diventa un isolotto fluviale, raggiungibile mediante una tipica “sĉcianca” (cioè una sorta di pontile/passerella in legno).
  
[La famiglia Siccardi è numerosa, un po’ come tutte le famiglie dell’epoca ed al proprio interno ha due “ramificazioni”: una più “commerciale” ed una più “contadina”.
Il “ramo commerciale” risiede tra Duomo e Costa dei Galleani (che nella prima metà dell’Ottocento è la Borgata edificata più grande della zona dopo Duomo), mentre il “ramo contadino” si stanzia tra “Murteu” (Moltedo) e “Ciàn rùssu” (Pian Rosso), salvo emigrare successivamente dal territorio andorese.
Nella conduzione del “molino nuovo”, affidata dagli Anfosso ai Siccardi, a Giuseppe Siccardi succede il figlio Francesco (che sarà indicato sull’atto di morte quale “gabellotto” proprio in virtù dell’occupazione lavorativa esercitata).
Con la remunerazione di tale attività il ramo della famiglia Siccardi (già abitante nei dintorni) si stabilisce in modo fisso nei pressi del “molino nuovo” e, con Angelo (figlio di Francesco), nella prima metà dell’Ottocento diventano stabilmente “bottegai” e successivamente “tabaccai”.
Con i proventi delle due attività viene iniziata la costruzione del Palazzo Siccardi (1845 circa), che sarà completato nel 1870, dopo che la famiglia avrà acquistato i terreni circostanti (e giungerà pressochè intatto fino ai giorni nostri con la sede dell’Ufficio Postale per un periodo, e la storica rivendita di alimentari-tabacchi-pasticceria di Angioletto – u Ciŗinèu).]
  
Il “molino nuovo” finisce di operare dopo breve vita, complici anche delle variazioni naturali sostanziali al corso del Torrente Merula, che sposta il proprio alveo, caratterizzando una alterazione dei luoghi.
Nella seconda metà dell’Ottocento, infatti, si succedono una serie di eventi che apportano danni e conseguenti modificazioni dell’equilibrio territoriale.
  
[Valutando gli effetti “storici” in epoche successive, ci si pone la riflessione che tale soluzione adottata, almeno in parte, non abbia avuto gli esiti prospettati, in quanto l’attività del “mulino nuovo” si è rivelata sicuramente innovativa e redditizia nel breve periodo (circa mezzo secolo), ma non è stata in grado di integrarsi con le modifiche territoriali sostanziali dei periodi successivi e non ha caratterizzato peculiarità che siano state prese ad esempio per essere replicate in altri interventi conseguenti.
Infatti, mentre praticamente tutti gli altri analoghi insediamenti (frantoi/gumbi) precedenti e contemporanei, hanno resistito alla spinta innovativa del cambiamento territoriale, il “mulino nuovo” cessa la sua attività in un periodo relativamente breve, scomparendo completamente dal territorio e addirittura dai ricordi dettagliati della sua esistenza.]

Le divisioni terriere dell’isolotto ripetono fedelmente le conformazioni delle proprietà locali pervenute in tempi moderni e più recenti, riportando la perimetrazione originaria di quello che sarà il “Palazzo Siccardi”, lasciando e offrendo una preziosa testimonianza delle avvenute sostanziali mutazioni della stretta realtà locale, non ultima l’accentuata traslazione del sedime dell’alveo e l’edificazione di una borgata in occupazione di parte dello stesso.
  
Il Merula condiziona la vita agricola, perché spesso straripa, inondando i terreni coltivati: i proprietari ed utilizzatori hanno imparato a convivere e sfruttare le periodiche esondazioni, come anticamente avevano fatto altri popoli, traendo giovamento ed utilità da fenomeni periodici che sarebbero stati diversamente solo dannosi per la sopravvivenza in luoghi pianeggianti lungo i corsi d’acqua.
L’abbondanza di “prese” idrauliche favorisce il proliferare dei “gumbi”, che in queste zone possono alternare, e talvolta sostituire, la forza motrice animale con quella garantita dei flussi idrici.
Nascono così vari frantoi, tra loro anche piuttosto vicini, e nella zona ai piedi della Borgata Duomo si verifica un incontro di situazioni che agevolano l’opera di tali attività: il Torrente Merula, la “beŗa”, ovvero la canalizzazione proveniente da Stellanello che alimenta tutti i “gumbi” sulla riva a ponente del Merula stesso, il Rio Duomo con la “piccola bea” che scende dalla valletta di Duomo.
In questo modo, oltre a “gumbi” famigliari, di ridotte dimensioni, nascono e lavorano il frantoio dei Musso (ex “gumbo di Rafè”) poco lontano e di fronte al “molino nuovo” degli Anfosso, il “mulino di Zanzi” (ex “gumbo di Testa”) ed un altro mulino, poco entro la valletta di Duomo (che sarà in parte ricostruito con minore estensione, dopo un paio di importanti alluvioni che danneggiano alcuni dei “gumbi” nelle vicinanze dell’alveo del Merula).
Il frantoio dei Musso è alimentato dalla “beŗa”, il “molino nuovo” degli Anfosso è alimentato direttamente dal Torrente Merula, quello “di Zanzi” è alimentato dalla “beŗa” e dalla “piccola bea” che scende parallelamente al Rio Duomo, la quale alimenta anche il mulino immediatamente più a monte.
Intorno a questa rete di frantoi, a partire dal 1870 (data di ultimazione del Palazzo Siccardi) si sviluppano gli insediamenti abitativi, spesso strettamente legati alle conduzioni delle attività svolte: la Borgata Duomo si estende fino a “u Besàgnu” (o “viassa”), con l’ampliamento dell’edificio che ripercorre Villa Musso e le case che caratterizzeranno “u Giardìn” (ex Caserma dei Carabinieri).
In questo periodo di fine Ottocento, viene creata una strada carrozzabile davanti al Palazzo Siccardi, ed in mezzo a quelli che si svilupperanno lungo i lati della stessa in pochi anni, formando la Borgata Molino Nuovo, con indipendenza denominativa dalla vicina e storica Borgata Domo o Duomo.
Nascerà anche il fabbricato che ospiterà il Municipio, la Trattoria Galleano, e gradualmente Molino Nuovo diventerà per un lungo periodo il centro amministrativo comunale, dopo che la sede municipale vi sarà trasferita dalla borgata di Metta.
 
Estratto di Mappa Catastale d'impianto - Agenzia delle Entrate
sovrapposizione grafica con riproduzione grafica vettorizzata dal Catasto Napoleonico
@ Mario Vassallo - 2022
  
Il 25 maggio 1915, il Consiglio Comunale, unitamente ai Sindaci di Stellanello e Testico, delibera la costruzione del ponte “Molino Nuovo”, la cui edificazione avverrà alcuni anni dopo e sarà chiamato “Ponte du Cunettun”, poiché in quel tratto il Torrente Merula era difficile da guadare, specialmente in inverno e nell’uso locale era assimilato ad una grande cunetta.
L’incarico progettuale fu affidato all’Ing. Lupi, prevedendo una costruzione di altezza m. 4, lunghezza m. 95 e la carreggiata di m. 6 di larghezza, con un costo approssimativo di Lire 120.000; i lavori terminarono solo nel 1932, sotto la direzione del P.N.F. (Partito Nazionale Fascista), dall'Impresa Magnani - Bessanini, con un costo complessivo di Lire 350.000.
A fianco dell’inizio del ponte, sulla sponda destra del Torrente Merula, dagli anni ’20 del secolo scorso, fu eretto il vecchio monumento ai Caduti (che a seguito alla piena del Torrente Merula del 1948 diventò pericolante, tanto da doverne prevedere la completa demolizione), su un terreno donato al Comune dall’andorese Giacomo Trevia in memoria del figlio Filippo, deceduto in guerra nel 1917.
Fu demolito nel 1960 e il 1° novembre 1961 fu inaugurato il Monumento attuale, senza che al luogo fosse data una precisa denominazione toponomastica, sebbene gli fosse attribuito il nome di Parco della Rimembranza.
  
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Un’osservazione particolare attrae l’attenzione su una zona poco lontana, la località San Pietro, che si trova nelle vicinanze di Molino Nuovo e da questi separata solo dall’alveo del Torrente Merula.
La località San Pietro prende il nome dalla omonima antica Chiesa Parrocchiale, che le mappe del Catasto Napoleonico rappresentano con l’antistante Casa Canonica e poco lontano l’Oratorio di San Luca Evangelista.
Nelle vicinanze si trova un piccolo fabbricato, di dimensioni talmente ridotte da fare pensare ad una pertinenza rurale, un gumbo e il Rio Negri.
Questi due elementi sono distintivi, perché il gumbo appare di dimensioni piuttosto grandi, con una forma planimetrica che denota una consistenza articolata tipica dei maggiori gumbi della vallata e rappresenta un elemento importante, poiché è uno dei pochi frantoi ad acqua che si trovano nel versante a levante del Torrente Merula.
Le mappe napoleoniche evidenziano altresì la forma di alimentazione idrica che avviene da una “bea” (canaletta) di lunghezza importante, la quale “pesca” direttamente dal Rio Negri in un tratto in cui lo stesso ha l’alveo di considerevole larghezza rispetto a tutto il proprio corso.
La “bea” alimenta il gumbo dopo averlo superato per tutta la lunghezza e lo scarico delle acque è nuovamente convogliato allo stesso rio, in tratto rettilineo rispetto all’arrivo di adduzione.
[Un’ultima importante considerazione deve essere fatta proprio sul Rio Negri, il quale, considerando uno dei tratti idrici quale braccio diretto del corso principale, è rappresentato nella Mappa ottocentesca alimentato da ben sette affluenti, a loro volta formati da un’altra dozzina di corsi d’acqua secondari.
Nelle Mappe Catastali di un secolo dopo, il numero degli affluenti è ridotto a tre e non compaiono più i corsi d’acqua secondari.
Tale differenza molto marcata potrebbe essere in parte attribuibile al puntiglioso dettaglio di rappresentazione delle Mappe ottocentesche ed alla semplificazione di quelle più moderne, ma poiché sono marcatamente accentuate differenze dimensionali dei corsi d’acqua rappresentati graficamente, sia in lunghezza che soprattutto in larghezza, ciò potrebbe significare una sostanziale variazione dell’assetto idrogeologico e territoriale dell’intero bacino di afflusso del Rio Negri nel corso di un secolo.]


Foto GoogleEarth
sovrapposizione grafica con riproduzione grafica vettorizzata dal Catasto Napoleonico
@ Mario Vassallo - 2022
 
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La “beŗa” era una canalizzazione tipo acquedotto, in parte fuori terra ed in parte interrata che, secondo le informazioni storiche locali, principalmente legate ai ricordi popolari, partendo dalla confluenza tra il Rio Moltedo con il Torrente Merula, alimentava i frantoi andoresi ed infine giungeva al mare passando dietro le Case della Stazione ed alimentando per ultimo il gumbo presso il complesso Tagliaferro.
Nel corso degli anni è pressochè scomparsa a causa delle varie trasformazioni subite dal territorio.
Occorre precisare che alcuni tratti sembrerebbero interrati e la percorrenza non apparirebbe continua, bensì intervallata da interruzioni dovute all’andamento orografico del territorio, nonché allo sfruttamento di innesto con altri corsi d’acqua minori discendenti dalle alture limitrofe: tali caratteristiche rappresenterebbero la funzione pratica di dotare l’intero territorio di una rete di canalizzazioni idrauliche piuttosto omogenea, ma non ricorrendo ad un unico canale, bensì a tratti di canali tra loro correlati e funzionalmente complementari.
L’impianto idraulico aveva origine in territorio di Stellanello, sulla sponda destra del Torrente Merula, in prossimità della confluenza del Rio Borgosozzo, in confrontanza della Borgata Albareto, da cui dirigeva verso il gumbo della Borgata Cà di Papi (sulla sponda destra del Merula) e proseguiva per raggiungere e collegare altri gumbi sino a quello sul Rio Cantalupo (davanti alla Borgata San Lorenzo, attualmente a lato del ponte per la Borgata Villarelli).
La percorrenza continuava in direzione verso mare e sempre a destra dell’alveo del Merula fino ad alimentare il gumbo – attuale proprietà Morro e successivamente quello di Frassada, adiacente alla ex Cappella della Famiglia Barbera (ponte di Moltedo – Barò).
Il “Mulino di Frassada” era alimentato anche da una canalizzazione che scendeva dal versante collinare di Levante, apportando un importante flusso idrico dedicato.
Questa canalizzazione laterale, dopo averlo alimentato convergeva nella “beŗa” in corrispondenza della confluenza tra il Torrente Merula e il Rio Moltedo.
La valletta di Moltedo era costellata di vari mulini isolati sparsi in corrispondenza dei vari nuclei edificati tra le borgate di Barò e Moltedo, serviti un po’ da tutti i corsi d’acqua secondari, affluenti del Rio Moltedo, disseminati sul crinale collinare condiviso con la borgata Garassini e i vari nuclei edificati di Conna.
Dopo l’incrocio con il Rio Moltedo, la “beŗa” proseguiva attraversando le regioni Pian di Basole e Berò fino a raggiungere il Mulino di Zanzi (in tempi più recenti ex Anfosso – Musso – Testa), che sorgeva vicino all’antica “Cappella di San Sebastiano”; il Mulino di Zanzi era probabilmente uno dei due più grandi di tutta la valle del Merula (l’altro era il Gumbassu) ed era situato proprio nel punto in cui la “beŗa” si congiungeva con il canale secondario proveniente dalla valletta del Duomo, dopo che lo stesso lungo il proprio percorso aveva alimentato altri numerosi frantoi, insieme al Rio Domo ed al Rio Garzi, suo maggiore affluente.
Si perimetrava così la zona andorese con la maggior concentrazione di gumbi/frantoi/mulini ad acqua, in un bacino virtuale compreso tra Torrente Merula, Rio Domo, borgate di Conna, Garassini, Moltedo, Barò e Rio Moltedo.
La “beŗa” continuava verso il Frantoio dei Musso (in seguito “u Gumbu de Rafè”), avvicinandosi alla sponda del Torrente Merula, fino a quasi incontrarsi con lo stesso in confrontanza davanti alla Borgata Melotti, e qui piegava per tornare verso la Borgata Ferraia (regione Acqua Calda), per proseguire costeggiando la Strada Mandamentale fino a gettarsi nel Rio Acqua Donnetta, da cui ripartiva fino a giungere al Gumbassu.
Dal Gunbassu volgeva verso il Ponte Romanico nei cui pressi finiva il suo percorso lineare, trasformandosi diffusamente in una rete più complessa di canalizzazioni anche localizzate, attivamente dipendenti da opere di presa nei vicini corsi d’acqua (rii).
Tale sistema a rete lo troviamo su tutta la parte territoriale a Ponente del Merula, dalla regione San Giovanni fino al litorale costiero, con marcato sviluppo nelle immediate vicinanze a monte del complesso di Villa Tagliaferro ed alle spalle delle case della regione Stazione.
Oltrepassato il riferimento con la borgata Confredi, in posizione costeggiante al tracciato stradale che portava dalla regione San Giovanni verso i piedi della borgata Duomo, in oggi riconducibile indicativamente ad un tratto della via Merula nei pressi dell’attuale Ortofrutticola, il tratto principale della “beŗa” creava un’ampia ansa verso il Torrente Merula, quasi a perimetrare la località “Siberia”, per tornare a scorrere costeggiando il percorso stradale di quella che sarà la Strada della Stazione (oggi via Carminati), creare una nuova breve ansa verso il Merula in allineamento alla futura Villa Stefania.
In questo tratto, il sedime stradale era spostato più a Levante, circa nella posizione su cui saranno posati i binari della vecchia ferrovia e tale strada si interromperà poco dopo, in prossimità dell’incontro con il corso del Rio Rinnovo.
In conseguenza, la “beŗa”, in corrispondenza dell’attuale ex pontino del sottopassaggio ferroviario, deviava nuovamente verso il Torrente Merula, andando a raggiungere il percorso dell’antica Strada Romana, costeggiandola fino all’altezza dell’attuale via Santa Lucia, da dove scendeva dritta fino agli attuali giardini Tagliaferro (in questo tratto sarebbe passata dietro le future originarie case di via Carminati, da dove raggiungeva retrostantemente la Villa Tagliaferro, sede dell’ultimo “gumbo” più vicino al mare, prima di gettarsi definitivamente nel Torrente Merula.
Nella parte compresa tra le regioni Frassada e Siberia ed il mare si riscontrano diversi tratti di canalizzazioni idrauliche interpoderali collegate trasversalmente con il Torrente Merula ed adducenti e/o confluenti nei limitrofi rii, pure senza mantenere una continuità con una dorsale comune longitudinale (pressochè il parallelismo con l’andamento dell’alveo del Torrente Merula).


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