NOI DEL 1970 - Andora nel tempo

Andora nel tempo
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NOI DEL 1970


NOI DEL 1970
(Mario Vassallo)

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Siamo nati nel secolo scorso, a metà tra l’ultimo conflitto mondiale e il nuovo millennio.
La nostra infanzia e la nostra adolescenza hanno attraversato periodi ancora sconosciuti al digitale, dove il tempo trascorreva più lento, in ambienti già coinvolti dalla modernizzazione progressiva, ma tutto sommato ancora legati ad usi e tradizioni del passato recente.
Per molti di noi la scuola elementare è stata il punto di incontro il 1° ottobre 1976 (*).
Eravamo suddivisi in cinque sezioni: A, B e C erano alloggiate nelle aule delle “Scuole Nuove” di via Cavour, mentre D ed E si trovavano all’interno di quello che era stato il Seminario di Santa Matilde.
Gli alunni delle classi di Santa Matilde usufruivano spesso del periodo di ricreazione all’aperto, nell’adiacente giardino con voliera o nel campetto da calcio sterrato e, non essendoci ancora la strada arginale (via Risorgimento), spesso il campo di ricreazione diventava l’alveo del Torrente Merula, da dove si tornava in classe con qualche trofeo (raganelle, lucertole, salamandre e, secondo la stagione, con foglie colorate dall’autunno, nidi abbandonati, primizie floreali e lastre di ghiaccio ricavate da qualche pozzanghera …….. tutto per la bontà e pazienza delle maestre!).
Le classi D ed E furono negli anni successivi spostate in Vico Sant’Andrea, in quello che era un edificio accanto al Torrente Merula e di proprietà della Sacra Famiglia.
Fino alla terza classe si era alloggiati al primo piano e successivamente, per le classi quarta e quinta, c’era la “promozione” alle aule del secondo piano.
Le classi di via Cavour erano attentamente governate dalla bidella Rinetta (Caterina Caviglia), mentre Santa Matilde prima e Vico Sant’Andrea dopo, erano destinati alle cure della bidella Giovanna Pio, con l’ausilio in tutte le sedi della bidella Nuccia Barusso.
Si andava a scuola sei giorni la settimana, con orario ridotto al sabato e sempre e solo di mattina; i pomeriggi erano liberi, a parte catechismo ed A.C.R. per la maggior parte di noi.
Le maestre erano considerate affettuosamente, quali autorità a cui dedicare il proprio pieno rispetto: figure che in breve tempo diventavano un riferimento insostituibile per i bambini ed un confidenziale e sincero appoggio costante per scolari e famiglie, presenti ad ogni evenienza o difficoltà.
Gli scolari vestivano tutti con grembiulino lungo nero, con uno o due tasconi ai fianchi, colletto bianco spesso inamidato (soprattutto ad inizio settimana), fiocco rosa per le bambine e fiocco azzurro per i maschietti; i “ribelli” portavano un grembiule corto, tipo camicia, senza colletto bianco e spesso senza fiocco.
Soprattutto nei primissimi anni scolastici, per tutta la durata della lezione si svolgeva una processione con cui la maestra provvedeva a rifare i vari e ripetuti fiocchi slacciati!
Seppure raramente, poteva capitare, dopo averne combinate di ogni tipo, di ricevere qualche “amorevole” tirata di orecchie o qualche buffetto, che non erano considerati oltraggiosi, ma un insegnamento o una correzione a cui seguiva il resto appena tornati a casa da parte dei nostri genitori, per i quali l’atteggiamento dell’insegnante era sempre giusto e fatto per il nostro bene.
Appena dopo essere entrati in classe, c’era la preghierina tutti in piedi, a cui seguiva l’affaccendarsi della maestra tra i banchi ad aiutare in più imbranati nel fare il segno della croce.
A metà mattinata, la ricreazione: 10 – 15 minuti di scatenamento collettivo a cui le maestre facevano finta di porre “limiti severi” e terminati i quali, passavano a rimproverare alcuni aiutandoli a ricomporsi dalla sudata.
La ricreazione, oltre alla merenda mattutina, corrispondeva al momento dei giochi in gruppo, dei quali i più tipici erano “pinocchietto”, “cin-cin-karatè” ed i giochi per scambiare o accaparrarsi figurine di ogni genere (le famose “figu”).
Il nostro periodo elementare ha coinciso con il tempo in cui alcune famiglie sottostavano frequentemente al fenomeno dei trasferimenti per la ricerca di lavoro e non erano rare le situazioni di difficoltà economica.
E qui emergeva con forza la figura protettiva delle maestre che, venute a conoscenza delle difficoltà famigliari esistenti, compravano con i loro soldi e in assoluto silenzio, quaderni, libri, pastelli, pennarelli e attrezzatura scolastica varia da mettere a disposizione, prima per i più bisognosi e poi per tutti, facendo della condivisione un elemento di entusiasmo, aiutando tutti e ricevendo qualche fuggitivo “grazie” da chi si accorgeva della loro preziosa generosità.
L’uscita presentava spesso un rituale di alcune maestre, le quali tenevano vicini a loro alcuni scolari che accompagnavano personalmente a casa con la propria auto …… come non ricordare esempi di guida terrorizzanti in 6 – 8 su una Cinquecento!!

Poi sono arrivate le scuole medie, il 10 settembre 1981.

Tutte le classi prime, ancora cinque, questa volta si trovavano nell’edificio di via Cavour: la sezione A al piano terra di fronte a segreteria e presidenza, B ed E al primo piano, C e D al secondo piano.

Siamo stati mischiati rispetto alle provenienze delle elementari, interrompendo legami ed equilibri che si erano formati nei cinque anni precedenti e la presenza di insegnanti diversi per le varie materie costituiscono, insieme al periodo adolescenziale, fattori di sviluppo personale e anche di maggiore responsabilizzazione.
Sono cambiate tante cose rispetto alle scuole elementari, soprattutto siamo cambiati noi, il periodo, le necessità, il cominciare a sentirsi progressivamente già grandi: la rampa di lancio per le scelte verso il nostro futuro.

Brevi ricordi, di momenti felici o almeno spensierati, che ci hanno formati nella crescita, con istruzione ed insegnamenti di vita, impostando alcune delle basi che ci hanno condotti alle scelte fatte nei periodi successivi delle nostre esistenze.
Credo che nel cuore di ognuno di noi ci sia un posto esclusivo dedicato ad almeno uno dei nostri insegnanti, una persona speciale a cui siamo affettuosamente legati e profondamente riconoscenti per ciò che ha fatto e rappresentato per noi e per la formazione di ciò che siamo diventati.
Ci siamo solo fermati qualche istante a ricordare un periodo delle nostre vite e le persone che abbiamo conosciuto e che hanno caratterizzato tale periodo fuori dagli affetti famigliari.

Oggi siamo più o meno riusciti ad adattarci, anche senza troppa fatica, ai cambiamenti, alla continua e repentina modernizzazione, all’era del digitale, ma non siamo nati così: siamo una delle generazioni di passaggio, quasi dei “dinosauri” che si sono adattati anziché estinguersi subito, ma siamo comunque “quelli del ’70” che viviamo a cavallo di due secoli e di due millenni.
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(*) Il 1976 è stato l’ultimo anno in cui le scuole sono cominciate il primo ottobre; dall’anno successivo, l’inizio dell’anno scolastico è avvenuto nel mese di settembre.

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RAGAZZI DEL 1970 - SCUOLE ELEMENTARI
Foto fornite da Arcangela Infurna, Sandra Mattei, Ovidia Siccardi, Mario Vassallo
RAGAZZI DEL 1970 - SCUOLE MEDIE
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RAGAZZI DEL 1970 - OGGETTI E RICORDI QUOTIDIANI
Foto collezione privata - Mario Vassallo

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RAGAZZI DEL 1970 - EVENTI E RICORRENZE
Foto fornite da Arcangela Infurna, Sandra Mattei, Ovidia Siccardi, Mario Vassallo
SCUOLE MEDIE
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Preside:
  • Francesco Lesage (fino al 1981/82)
  • Renzo Rossi (dal 1982/83)

Professori:
  • Religione: Don Umberto Costa, Don Antonio Daddiego
  • Educazione Fisica: Danilo Giacchello, Marie Angele Zanardi
  • Educazione Musicale: Alessandro Scotto, Antonella Pecoraro, Marina Ancorini;
  • Educazione Tecnica: Domenica La Barbera, Guglielmo Gagliolo, Giacomo Draghi, Gianluigi Canavese, Wanda Inglese, Vittoria Spagna, Simicic;
  • Educazione Artistica: Cinzia Renda, Giuseppe Slompo, Ciavardoni, Guaita;
  • Lettere: Annamaria Anfosso, Elvira Pollini, Adelmo Mastro, Norina Spagna, Ardoino Giovanni, Bianca Letizia, Sanna;
  • Matematica: Patrizia Bardelloni, Laura Baucknet, Ornella Oliva, Irene Marta, Marciante, Katia Rocchi;
  • Inglese: Dino Cervelli, Marilena Pastorino, Giorgina De Andreis, Celeste Abate.

Bidelli:
  • Vincenzo Sammartino
  • Antonio Fiorile
  • Bartolo Calderisi
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SCUOLE ELEMENTARI
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Direttrici didattiche:
  • Luisa Rossi (fino al 1977/78)
  • Alma Anfosso (dal 1978/79)
   
Maestre e insegnanti di sostegno:
  • Sezione A – Celeste Telesio Ghersi
  • Sezione B – Maria Rosa Tallone Serrati
  • Sezione C – Assunta Cerruti
  • Sezione D – Linda Bestoso Danio
  • Sezione E – Francesca Moscova
  • di sostegno – Rosa Bertilaccio
  • di sostegno – Bruno Trento
           
Bidelle:
  • Caterina "Rinetta" Caviglia
  • Giovanna Pio
  • Violantina "Nuccia" Barusso
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Dedico un ringraziamento speciale a

Monica BaroniMaria CipolliMonica ConselvanLidia CorioDaniela GarollaArcangela InfurnaSandra MatteiMassimo PeratoRodolfo RotondoOvidia SiccardiSandra Vernazzano

insieme abbiamo ricostruito nell'anno del nostro 50esimo compleanno,
la nostra storia scolastica:
quella dei nati nel 1970
(1) “Pinocchietto”
Si trattava di una specie di giostra, variante del gioco precedente.
Lo scopo del gioco era quello di pestare un piede di un avversario, eliminandolo.
Pertanto, si trattava di un gioco basato sull’uso e la posizione dei piedi.
Prima di cominciare i partecipanti si attribuivano un numero progressivo (1, 2, 3, 4, ecc.), che determinava la posizione del proprio turno di gioco.
Tenendosi per mano in cerchio, si girava in tondo, sillabando insieme “pi – noc – chiet – to”, quindi lasciandosi e posizionandosi in un punto dello spazio circostante, a non più di un paio di passi da dove ci si era divisi.
Partendo da chi aveva il numero 1 (e poi in sequenza 2, 3, ecc.), ognuno faceva uno spostamento di un passo verso un avversario, portando una specie di attacco.
L’avversario attaccato, a sua volta, poteva difendersi muovendosi, al massimo di un passo, contestualmente all’attaccante, ma non prima che questi si fosse mosso, pena la ripetizione dell’attacco.
Ad ogni movimento fatto, doveva essere mantenuta fissa la posizione dei piedi, fino al turno successivo.
Ognuno poteva attaccare chiunque degli altri giocatori.
Quando un giocatore riceveva il “pestone” sul proprio piede, veniva eliminato ed i restanti si riunivano e ripartivano con il “girotondo” iniziale.
Vinceva chi rimaneva per ultimo senza ricevere il “pestone”.
(2) “Cin – cin – karatè”
Anche in questo caso si trattava di una specie di giostra.
Lo scopo del gioco era quello “toccare” l’avversario con la mano, eliminandolo.
Pertanto, si trattava di un gioco basato sull’uso di mani e piedi, dove era anche determinante la posizione del corpo, che poteva aiutare a distendere il raggio d’azione dell’attacco effettuato.
Prima di cominciare i partecipanti si attribuivano un numero progressivo (1, 2, 3, 4, ecc.), che determinava la posizione del proprio turno di gioco.
Tenendosi per mano in cerchio, si girava in tondo, sillabando insieme “cin – cin – ka – ra – tè”, quindi lasciandosi e posizionandosi in un punto dello spazio circostante, a non più di un paio di passi da dove ci si era divisi.
Partendo da chi aveva il numero 1 (e poi in sequenza 2, 3, ecc.), ognuno faceva uno spostamento di un passo verso un avversario, portando una specie di attacco.
L’avversario attaccato, a sua volta, poteva difendersi muovendosi, al massimo di un passo, o semplicemente schivando con la posizione del corpo contestualmente all’attaccante, ma non prima che questi si fosse mosso, pena la ripetizione dell’attacco.
Ad ogni movimento fatto, doveva essere mantenuta fissa la posizione di tutto il corpo, fino al turno successivo.
Ognuno poteva attaccare chiunque degli altri giocatori.
Quando un giocatore riceveva il “tocco” da parte di un avversario, veniva eliminato ed i restanti si riunivano e ripartivano con il “girotondo” iniziale.
Vinceva chi rimaneva per ultimo senza ricevere il “tocco”.
(3) Giochi con le figurine

I giochi legati allo scambio e per accaparrarsi le figurine si distinguevano in quattro varianti: “patta”, “soffietto”, “ticchetta” e “muro”.
Si trattava di gioco che implicava un “impegnativo” addestramento personale, per studiare tecniche, accorgimenti e trucchetti che portassero alle maggiori vincite possibili, le quali potevano anche consistere in centinaia di figurine al giorno.

a) “Patta”.
Il gioco si svolgeva su un banco o sulla cattedra.
Prima di cominciare i partecipanti si attribuivano un numero progressivo (1, 2, 3, 4, ecc.), che determinava la posizione del proprio turno di gioco.
Si mettevano insieme delle figurine, in numero variabile, una sull’altra con l’illustrazione verso l’alto, di solito non più di 6 – 8.
Il mazzetto ottenuto si incurvava leggermente ad “U” verso l’alto, nel senso della lunghezza, e si disponeva sul banco o cattedra.
Cominciando dal primo partecipante, secondo i numeri di turno attribuiti e poi in sequenza, il concorrente di turno appoggiava il palmo della mano, aperto, con le dita unite e eventualmente solo incurvato a conchetta, a fianco al mazzetto (parallelamente al lato lungo dello stesso) e successivamente lo spostava battendo un colpo sul mazzetto stesso.
La maestria consisteva nel conoscere od intuire il comportamento del mazzetto al colpo inferto, sfruttando e/o originando uno spostamento d’aria che permettesse di capovolgere il mazzetto stesso od almeno alcune delle figurine che lo componevano.
Le figurine che si capovolgevano (con illustrazione verso il basso) erano vinte, mentre le altre venivano assoggettate al turno del concorrente successivo.
Quando tutte erano state capovolte e vinte, se ne mettevano delle altre e si ricominciava da capo.
Se con il colpo inferto, nessuna si capovolgeva, in concorrente non aveva vinto e si procedeva con il concorrente successivo.

b) “Soffietto”.
Il gioco si svolgeva su un banco o sulla cattedra.
Prima di cominciare i partecipanti si attribuivano un numero progressivo (1, 2, 3, 4, ecc.), che determinava la posizione del proprio turno di gioco.
Si mettevano insieme delle figurine, in numero variabile, una sull’altra con l’illustrazione verso l’alto, di solito non più di 6 – 8, ma a volte, per sfida lanciata per dimostrare le proprie abilità conseguite, anche una ventina.
Il mazzetto ottenuto si incurvava leggermente ad “U” verso l’alto, nel senso della lunghezza, e si disponeva sul banco o cattedra.
Cominciando dal primo partecipante, secondo i numeri di turno attribuiti e poi in sequenza, il concorrente di turno si posizionava di fronte al lato lungo del mazzetto, con i palmi delle mani aperti e dita attaccate, posizionati di coltello ad una distanza di circa 30 – 40 cm tra loro.
Le mani così posizionate venivano battute l’una contro l’altra in corrispondenza del centro del lato lungo del mazzetto e tale movimento creava uno spostamento d’aria che doveva fare ribaltare il mazzetto od almeno alcune delle figurine che lo componevano.
Anche in questo caso, la maestria consisteva nel conoscere od intuire il comportamento del mazzetto alla sollecitazione causata, sfruttando e/o originando uno spostamento d’aria che permettesse di capovolgere il mazzetto stesso od almeno alcune delle figurine che lo componevano.
Le figurine che si capovolgevano (con illustrazione verso il basso) erano vinte, mentre le altre venivano assoggettate al turno del concorrente successivo.
Quando tutte erano state capovolte e vinte, se ne mettevano delle altre e si ricominciava da capo.
Se con il colpo inferto, nessuna si capovolgeva, in concorrente non aveva vinto e si procedeva con il concorrente successivo.

c) “Ticchetta”.
Il gioco si svolgeva su un banco o sulla cattedra.
Prima di cominciare i partecipanti si attribuivano un numero progressivo (1, 2, 3, 4, ecc.), che determinava la posizione del proprio turno di gioco.
Si mettevano insieme delle figurine, in numero variabile, una sull’altra con l’illustrazione verso l’alto, di solito non più di 6 – 8.
Il mazzetto ottenuto si disponeva sul banco o cattedra, in modo che fuoriuscisse non più di metà del lato lungo da uno dei bordi del ripiano.
Cominciando dal primo partecipante, secondo i numeri di turno attribuiti e poi in sequenza, il concorrente dava con le dita una “stecca” od un tocco verso l’alto da sotto la parte a sbalzo del mazzetto.
La maestria consisteva nel riuscire a fare capovolgere il mazzetto stesso od almeno alcune delle figurine che lo componevano.
Le figurine che si capovolgevano (con illustrazione verso il basso) erano vinte, mentre le altre venivano assoggettate al turno del concorrente successivo.
Quando tutte erano state capovolte e vinte, se ne mettevano delle altre e si ricominciava da capo.
Se con il colpo inferto, nessuna si capovolgeva, in concorrente non aveva vinto e si procedeva con il concorrente successivo, mentre se con il tocco inferto il mazzetto o anche una sola figurina cadeva a terra, nulla era vinto e si passava il turno al concorrente successivo.

d) “Muro”.
Delle quattro varianti, questa era quella più casuale, in cui non contribuivano in modo particolare alcun accorgimento o preparazione personale: si faceva affidamento al caso ed alla fortuna, ma a differenza delle versioni viste in precedenza, un solo turno era in grado di far vincere anche centinaia di figurine in un colpo solo.
Il gioco si svolgeva utilizzando uno spazio tra muro e pavimento.
Prima di cominciare i partecipanti si attribuivano un numero progressivo (1, 2, 3, 4, ecc.), che determinava la posizione del proprio turno di gioco.
Ogni partecipante, a turno, appoggiava una figurina aderente al muro ad altezza da pavimento concordata (ma poteva essere anche di libera scelta) e la lasciava cadere.
Ogni figurina cadeva a terra volteggiando ed andava a prendere posizione sul pavimento.
Il gioco finiva quando la figurina di un partecipante cadeva fermandosi anche solo parzialmente a contatto con un’altra già a terra, decretandone la vincita di tutte quelle che erano sul pavimento.
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