BERA - Andora nel tempo

Andora nel tempo
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BERA

LA BEŖA
(Mario Vassallo)
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Secondo le testimonianze tramandate, la “Beŗa” era una canalizzazione, tipo acquedotto, in parte fuori terra ed in parte interrata che, secondo le informazioni locali, principalmente legate ai ricordi popolari, partendo dalla confluenza tra il Rio Moltedo con il Torrente Merula, alimentava i frantoi andoresi ed infine giungeva al mare passando dietro le Case della Stazione ed alimentando per ultimo il “gumbo” presso il complesso edificato di Villa Tagliaferro.
Nel corso degli anni è pressochè scomparsa a causa delle varie trasformazioni subite dal territorio ed i resti che ne ricordano in tempi recenti la sua esistenza ed il suo passaggio, partendo dalla parte alta del territorio comunale, sono i seguenti:
  • tratto dove è ancora ubicata l’ultima grande ruota dei “gumbi” andoresi, presso il Frantoio Morro;
  • tratto sommerso dalla vegetazione ai piedi del versante collinare in Regione Pian di Basole;
  • tracce presso i ruderi dell’ex “gumbo” Anfosso – Musso – Testa;
  • tratto ormai demolito in prossimità delle cinte murarie delle abitazioni a fianco al Parco Caduti della Grande Guerra di Molino Nuovo;
  • tratto ancora esistente a monte del complesso edificato del “Gumbassu”;
  • tratto interrato in corrispondenza del confine a Levante della proprietà Vezzaro;
  • tratto di canalizzazione idraulica rinvenibile in antiche foto, attraversante i campi preesistenti nell’area compresa tra l’attuale complesso “I Saraceni” e la via Risorgimento.


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La situazione è in realtà parecchio più complessa e può essere interessante soffermarsi ad analizzarla.
Ciò è stato possibile grazie ad approfondimenti documentali e riscontri grafici con le moderne tecniche di rilievo e sovrapposizione cartografica, è stato possibile appurare più esaurientemente la situazione in dettaglio, esaminando le antiche mappe catastali (fogli di mappa d’impianto del Nuovo Catasto Terreni e del Catasto francese “Napoleonico”), nonché ampliando le ricerche alle informazioni rintracciabili nell’Archivio Storico Comunale Andorese.

Alcuni documenti storici contrattuali rilevano accordi stipulati con atto notarile del 1715 tra esponenti delle famiglie Anfosso e Marchiano, secondo cui si definivano impegni reciproci a dotare la zona dei dintorni della Borgata Duomo e le limitrofe aree agricole di una canalizzazione idraulica che alimentasse i rispettivi frantoi e costituisse una sorta di acquedotto irriguo per i terreni attigui ed attraversati, raccordandosi ad opere idrauliche preesistenti (opere di presa, cisterne, beodi, rii, ecc.).
La zona specifica di tali accordi può essere identificata in riferimento all’ex “gumbo” Anfosso – Musso – Testa ed i “gumbi” presenti nella valletta di Duomo ed in regione Acqua Calda e, pertanto, tra le Borgate Duomo e Ferraia.
Tale struttura idraulica si andava ad integrare con quella principale già esistente, riconoscibile o attribuibile alla “Beŗa”.
Lo studio approfondito della documentazione cartografica ha permesso di evidenziare come tutto il territorio comunale fosse anticamente caratterizzato non solo dalla “Beŗa”, ma da una fitta ed estesa rete di canalizzazioni idrauliche nella parte pianeggiante della valle, soprattutto nell’estensione verso il litorale costiero.
A tale fine, si rende necessario fare una distinzione territoriale, considerando l’estensione valliva pianeggiante in due aree: una di levante ed una di ponente, rispetto all’alveo del Torrente Merula.

La parte a ponente, risulterebbe fortemente collegata, almeno concettualmente, all’opera idraulica chiamata “Beŗa”.
Tuttavia, non si deve pensare ad una canalizzazione continua attingente acqua nella valletta di Moltedo e diretta al mare, utilizzata per alimentare i vari “gumbi” incontrati e quale eventuale fonte di approvvigionamento idrico dato dal proprio percorso.
Infatti, non solo non si trattava di un’unica canalizzazione, ma probabilmente non era proprio “una” canalizzazione.
La ragione ed il significato devono essere ricercati nelle risultanze documentali e nei confronti cartografici che mettono in relazione i vari aspetti del territorio andorese e della Valle del Merula nel suo insieme.
In tempi passati, prendendo in esame ciò che è riscontrabile e documentabile dall’inizio dell’Ottocento al secondo dopoguerra, il territorio andorese era principalmente un ambiente contadino e come tale si presentava la necessità di avere un sistema di irrigazione che permettesse di attingere con buona continuità a fonti idriche.
Non erano ancora utilizzati in modo esteso i pozzi (ne risulterebbero indicati un numero esiguo, posizionati in punti del territorio inadeguati e/o insufficienti a poter rappresentare una potenzialità di sfruttamento a scopo irriguo), per mancanza di pompe di sollevamento, a parte i sistemi meccanici prevalentemente a forza animale, che comunque non sarebbero stati idonei ad un’opera di irrigazione quasi giornaliera in determinati periodi dell’anno agrario.
Conseguentemente l’irrigazione era di tipo a scorrimento, “a solco”, mediante la realizzazione e tenuta di una vera e propria rete di variabili canali superficiali atti a condurre e trasportare il contenuto idrico a disposizione e necessario, talvolta prelevato da sorgenti ai piedi dei versanti collinari.
Tali canalizzazioni “scorrevano” per forza in pendenza e, considerando la conformazione del territorio andorese, indipendentemente dalle variazioni che può avere subito nel tempo, è impossibile pensare o sostenere che una canalizzazione principale potesse partire dalla valletta di Moltedo, scendere verso il mare e durante il tragitto distribuire e servire tutto il territorio limitrofo e non.
Ecco infatti che documentalmente emergono delle interruzioni di tragitto, le quali corrispondono ad opere di presa in corrispondenza di rii e fossati discendenti dai pendii collinari di ponente, che evidentemente (come ancora oggi in alcune zone dell’interno, dove ci sono tubi che pescano da tratti in cui si formano pozze naturali che vengono sfruttate come vere e proprie vasche di adduzione) erano l’origine di fornitura idrica localizzata per alcuni tratti e porzioni del territorio.
Quindi, si sarebbe in presenza non di una canalizzazione unica, ma di tratti, una sorta di percorso, sicuramente di maggiore importanza e identificato/distinto come “la Beŗa”, la quale sarebbe stata sfruttata in modo predominante per il funzionamento di alcuni “gumbi” e per le limitrofe zone attraversate, ma in presenza complementare con altre canalizzazioni idriche più localizzate e secondarie per estensione individuale, seppure di primario utilizzo.

La parte a levante del Torrente Merula si presenta in modo sostanzialmente diverso nella zona dell’entroterra, dove le adduzioni non avvengono tanto dai rii discendenti dai pendii collinari (tranne alcuni sporadici casi soprattutto nella borgata Costa di San Pietro, dove esiste una specifica canalizzazione idraulica che attinge dal Rio Negri per alimentare un “gumbo”), bensì direttamente dall’alveo del Torrente Merula.
Mentre nella zona più verso il litorale costiero, è presente una fitta rete molto articolata di canalizzazioni, le quali caratterizzano le delimitazioni dei vari appezzamenti, spesso con sviluppo per l’intero perimetro degli stessi e con una diffusione molto estesa.
La particolarità è che tale presenza verrebbe concentrata nell’area territoriale oggi identificabile con due linee idealmente perpendicolari al fronte costiero e passanti circa per le attuali via san Lazzaro e via Piana del Merula, con un’estensione dal mare sino all’odierno ponte ferroviario.
In questa zona si rileva una “ragnatela” di canali, fossi, beudi, tra loro collegati e/o formanti vere e proprie ramificazioni, estese a coprire l’intera estensione dei campi presumibilmente coltivati, formando una rete di irrigazione a cielo libero che sfrutterebbe la naturale pendenza dei luoghi.

Volendo fare un paragone con tempi più recenti, in effetti la suddetta considerazione ricalcherebbe la situazione successiva al periodo napoleonico e risalente fino a circa cinquanta anni fa, quando i vari poderi, anche di proprietà diverse, erano tra loro uniti e dipendenti nelle coltivazioni dalle stesse fonti di approvvigionamento idrico (dei mini-consorzi stipulati o concordati verbalmente da patti tra privati), che prevedevano l’adduzione dell’utilizzo idrico con una portata principale per mezzo di tubazione e successiva irrigazione “a solco”, cioè modellando una rete di canali superficiali modificabili in base alle necessità e all’uso, che venivano “aperti” e “chiusi” con semplici “zappate di terra”.
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Dopo tali considerazioni, tornando concettualmente alla consistenza territoriale dell’intera cosiddetta “Beŗa”, occorre precisare che alcuni tratti della stessa sembrerebbero essere stati sotterranei e la percorrenza non apparirebbe continua, bensì intervallata da interruzioni dovute all’andamento orografico del territorio, nonché allo sfruttamento di innesto con altri corsi d’acqua minori discendenti dalle alture limitrofe: tali caratteristiche rappresenterebbero la funzione pratica di dotare l’intero territorio di una rete di canalizzazioni idrauliche piuttosto omogenea, ma non ricorrendo ad un unico canale, bensì a tratti di canali tra loro correlati e funzionalmente complementari e, quindi, a più fonti di approvvigionamento anche in contemporanea.


Foto per gentile concessione Ornella Gaggino

L’impianto idraulico della “Beŗa” non aveva origine dalla valletta di Moltedo – Barò, ma dal territorio di Stellanello, sulla sponda destra del Torrente Merula, in prossimità della confluenza del Rio Borgosozzo, in confrontanza della Borgata Albareto, da cui dirigeva verso il “gumbo” della Borgata Cà di Papi (sulla sponda destra del Merula) e proseguiva per raggiungere e collegare altri “gumbi” sino a quello sul Rio Cantalupo (davanti alla Borgata San Lorenzo, attualmente a lato del ponte per la Borgata Villarelli).


Foto per gentile concessione Ornella Gaggino

La percorrenza continuava in direzione verso mare e sempre a destra dell’alveo del Merula fino ad alimentare il “gumbo” – attuale proprietà Morro e successivamente a quello adiacente alla ex Cappella della Famiglia Barbera (ponte di Moltedo – Barò).



Proseguiva attraversando le regioni Pian di Basole e Berò (ai piedi della valletta di Moltedo - Barò), fino a raggiungere il “gumbo” ex Anfosso – Musso – Testa, dove si congiungeva con il canale proveniente dalla valletta del Duomo.





Continuava verso “u Gumbu de Rafè” (ex Musso), avvicinandosi alla sponda del Merula, fino a quasi incontrarsi con lo stesso in confrontanza davanti alla Borgata Melotti, e qui piegava per tornare verso la Borgata Ferraia (regione Acqua Calda), da cui proseguiva costeggiando la Strada Mandamentale fino a gettarsi nel Rio Acqua Donnetta, da cui ripartiva fino a giungere al Gumbassu.



Dal Gunbassu volgeva verso il Ponte Romanico, nei cui pressi finiva il suo percorso lineare, trasformandosi diffusamente in una rete più complessa di canalizzazioni anche localizzate, attivamente dipendenti da opere di presa nei vicini corsi d’acqua.
Tale sistema a rete lo troviamo anche su tutta la parte territoriale a Ponente del Merula, dalla regione San Giovanni fino al litorale costiero, con marcato sviluppo nelle immediate vicinanze a monte del complesso di Villa Tagliaferro ed alle spalle delle case della regione Stazione (con alimentazione dal Rio Rinnovo).
Nella parte compresa tra le regioni Frassada, Siberia ed il mare si riscontrano diversi tratti di canalizzazioni idrauliche interpoderali collegate trasversalmente con il Torrente Merula ed adducenti e/o confluenti nei limitrofi rii, pure senza mantenere una continuità con una dorsale comune longitudinale (pressochè il parallelismo segue l’andamento dell’alveo del Torrente Merula).
  
Ed in effetti tali constatazioni troverebbero conferma nel fatto che la conformazione territoriale lascerebbe dei dubbi circa una sola ed unica canalizzazione idraulica attraversante l’intero territorio comunale da Stellanello al mare, per la quale il naturale scorrimento idrico necessiterebbe di una pendenza, se non costante almeno continua, rimandando a costruzioni ingegneristiche ed architettoniche quantomeno importanti dal punto di vista dell’impatto, di cui non sono state reperite tracce documentali e neanche informazioni popolari.

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Un doppio grande ringraziamento a Giorgio Guardone:
per avere gentilmente concesso di fotografare le ultime testimonianze di ciò che avrebbe dovuto essere in altri casi più attentamente considerato e rispettato quale opera monumentale andorese
e soprattutto per essersi preso cura e fatto carico di mantenere e restaurare, preservando, questi preziosi resti del passato andorese.
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