COGNOMI E ABITANTI DAL XIII AL XVII SECOLO - Andora nel tempo

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COGNOMI E ABITANTI DAL XIII AL XVII SECOLO

STORIA E DOCUMENTI > STORIA ANDORESE
COGNOMI E ABITANTI DAL XIII AL XVII SECOLO
(Sabrina Lunghi)
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L’INCHIESTA SUI REDDITI DEL 1252
Appena acquisita da Genova, Andora viene sottoposta ad una inchiesta sui redditi, svolta da Iacobo Bestagno che reca la data del 7 novembre 1252. Questo documento (1) è certamente una fonte di informazioni preziose, per potersi rendere conto della vita economica del territorio in questione.
Ciò che appare evidente è la vitalità di questa zona, le cui rendite provenivano da sessantasei gruppi familiari, venticinque dei quali legati ad un manso, cioè ad un’estensione di terreno che una famiglia di coloni poteva coltivare annualmente con una coppia di buoi, secondo la definizione data da N. Calvini (2).
I "cognomi" di questi gruppi familiari sono i seguenti:



Fra i suddetti nomi e quelli riguardanti nomi propri e località, credo utile sottolinearne alcuni che rievocano altrettanti cognomi e località tuttora esistenti nella valle del Merula:
  • (Maixo de) domo, che si può forse collegare con la località Duomo sulla destra del Merula in frazione Molino Nuovo.
  • (Maixo de) costa, piuttosto generico, ma che tuttavia può richiamare la località Costa Maggiore, ubicata nella frazione Conna, oppure il toponimo Costa dei Negri nella frazione di S. Pietro, oppure la località Costa d’Agosti nella frazione di S. Bartolomeo.
  • de ferraria, probabilmente riferito alla località attualmente detta Ferraia in frazione S. Giovanni.
  • braia è riferito a terreni coltivati a vite, che il Sacro e vago Giardinello cita all’interno della Parrocchia della SS. Trinità di Rollo. E’ possibile che questo toponimo derivi dal longobardo *braida, podere, che doveva valere originariamente ‘pianura’ (cfr. ted. breit, ampio, spazioso, esteso), e passò ad indicare nei documenti notarili altomedievali il ‘podere’, appunto (3).
  • (Maixo de) aicardino: richiama il cognome Aicardi, diffuso attualmente a Stellanello.
  • Oddo gonfreo: la gutturale iniziale di gonfreo, se mutata nella corrispondente aspra c, lo trasforma in confreo che richiama la località Confredi, in frazione S. Giovanni.
  • (Maixo de) berni: richiama la località Case Berneri, in frazione Rollo.
  • Aicardus: usato come nome proprio, richiama il cognome Aicardi (come il suddetto diminutivo Aicardinus).
  • Morenus: (non è chiaro se si tratta di nome proprio o di cognome; ritengo comunque più probabile la seconda possibilità perché nel testo è seguito da Iulianus) rimanda al cognome Moreno, attualmente diffuso nella frazione Duomo.
  • Durantis: genitivo di nome proprio affine al cognome Durante, attualmente diffuso a Stellanello.

Dall’analisi del documento, appare chiaro il carattere agricolo e pastorale dell’economia della valle del Merula, ove si coltivava il frumento, l’orzo, la spelta (farro), la vite, si allevavano suini, ovini, bovini e da questi ultimi due si ricavava il latte, con cui si producevano i formaggi; nel mulino si riducevano a farina i cereali, da cui si produceva il pane, che veniva smerciato insieme al vino e ai pesci.
Parte di questi prodotti venivano versati come tributi, che si aggiungevano quindi ad altri di diversa natura, come la conditio, i comparia, i banda, i praecepta (4).
Apprendiamo inoltre che ad Andora doveva esservi un discreto mercato, se scorriamo le voci riguardanti i pedaggi sugli animali che transitavano per la valle carichi di merce (muli, ronzini, maiali) e le tasse sulle carni vendute nella macelleria (maiale, bue), e ancora su altri tipi di carne (montone, castrato, capra, capretto, agnello), di formaggi, di pesci.
Veniva applicato poi un diritto di fuoco, un diritto di attracco per le imbarcazioni che giungevano alla ripa (del mare o del fiume).
Anche l’uso del forno e del mulino era soggetto ad una tassa, entrambi infatti erano posseduti dai feudatari, e costituivano quindi una delle loro principali fonti di reddito (5).
Va poi sottolineata la presenza di una tassa particolare: la cabella murte, cioè del mirto, un’erba preziosa usata in conceria e in chiesa nelle principali solennità dell’anno (6).
L’importanza di questo documento è data anche dalla sua unicità e dalla sua antichità. Infatti occorre attendere circa tre secoli per poterne consultare un altro simile, quando cioè Genova impone nuovamente una sorta di censimento di natura economica, che prende il nome di caratata.


UNA CARATATA DEL 1531
Prima di esaminare in dettaglio la natura del manoscritto n. 797 (7) risalente al 1531, è bene riflettere brevemente sul significato politico ed economico di questo testo e dei successivi simili ad esso.
Si tratta di una carata, ovvero un registro catastale in cui commissari speciali (stimatori o estimatori o extimatores) annotarono, con l’indicazione del valore rispettivo, le parcelle dei beni fondiari appartenenti ai privati, e i terreni comunali, che
normalmente erano pascoli e boschi. I registri servivano di base per determinare la contribuzione annua (detta avaria) che i comuni dovevano corrispondere alla Repubblica, e l’importo totale dell’avaria era, a sua volta, frazionato e addebitato agli abitanti in proporzione del valore dei loro terreni.
Una parcella prendeva, rispetto al registro, il nome di carato (nel linguaggio commerciale genovese, fin dall’Alto Medioevo, il carato rappresentava la parte, non determinata, di un’unità di valore: la comproprietà di una nave, di una casa, la quota di
compartecipazione di capitale in una banca, era chiamato carato. Probabilmente la voce è presa dalla pratica dei metalli preziosi e più particolarmente dell’oro). Ora poiché i beni tanto pubblici che privati di un comune costituivano una unità di valore, il valsente, le parcelle in cui tale beni erano divisi figuravano come altrettanti carati, e caratata fu dunque il complesso delle parcelle (8).
Le caratate riguardavano solo i comuni sotto il dominio diretto della Repubblica, per i quali lo stesso governo genovese fissava l’ordinamento amministrativo e che erano soggetti ad una tassa annuale fissata sull’accertamento dei beni posseduti dal comune,
come dichiarato nella caratata. Andora rientrava in questo ambito amministrativo e fiscale.
La creazione delle caratate quasi certamente deve risalire al XII secolo, quando cioè Genova aveva esteso il suo dominio da Capo Corvo a Monaco e oltre i Giovi e aveva completato anche la sua espansione coloniale. Occorreva quindi un censimento delle rendite dei vari comuni liguri, per avere una chiara idea delle nuove entrate nel comune a seguito delle recenti acquisizioni (9).
L’indagine sui redditi del 1252 può essere letta in questo senso, anche se la prima caratata vera e propria su Andora è quella contenuta nel manoscritto n. 797.
Il documento consta di quarantadue fogli, che misurano cm. 30 x cm. 22, sono scritti da ambo le parti e non sono numerati. Sulla prima facciata con frontespizio, si riporta l’indicazione che il registro costituisce una nuova caratata eseguita da due commissari speciali incaricati dalla Repubblica e da tre sindaci, scelti per rappresentare evidentemente gli interessi dei comuni. Riguarda esclusivamente, come si è già detto, i comuni di dominio diretto, mancano quindi quelli convenzionati o completamente esenti da contribuzioni. Essa non comprende neppure Genova, i cui abitanti furono sottoposti in quell’anno a censimento, ma con indirizzo diverso (10).
Il testo del manoscritto n. 797, riguardante Andora, è il seguente:

Andora
Appresso segue la informatione sopra li articuli presa en lo loco de Andora.
Et primo veduto el loro registro e datoli solemne sacramento habiamo trovate el loro podere valsente montare la somma de libre DXII mila de loro moneta computate
le case che sono moneta de Genoa CLXX mila DC.
Le teste de anni XVII in LXX n.° DL
E più prexione de mori e turchi n.° CXXX
Li fochi a N.° D
Le anime homini done fanciulli II mila D
Interrogati sotto el medesimo sacramento se tra loro è mercadanti dicono esserne xii in circa che manezano de ducati CL in II mila in circa, marinari una parte e piscatori, il resto lavoratori di terre.
Di lochi in Sancto Georgio non ne hanno.
De bestiami para XX in XXV di bovi et altri minuti de D in circa.
De barche ne hanno 2 grosse, XV piccole et uno galione.
Le loro racolte frumenti et altre biave e fiche per 4 mesi, se referano a lo scritto mandato a la Illustrissima Segnoria e ne hanno da vendere vini per loro uso.
Le loro entrate in la cabella de vini se ne hano libre LXX in circa moneta de Genoa.
Le loro spese lavaria ordinaria DCCC
Per lo podestà libre LXVII, la cabella de embrixi (11) libre CCI, per la guardia de lo cavo del meire libre XXIII, per lì scrivani libre XVI, per lo meistro de schola libre LXX, per lo sindico de lo maleficio libre 1.3.4. in summa moneta de Genoa.
DLVII. d. II den
III (12)

Come si può osservare, viene riportato il numero complessivo della popolazione, al cui interno sono evidenziati i soggetti di sesso maschile, di un’età compresa fra i diciassette e i settanta anni, e il numero di fuochi, cioè di nuclei familiari.
Gorrini osserva che (...) per i fuochi, si rileva il numero limitato di componenti di una famiglia. Giacché un fuoco comprende in media circa quattro persone presenti, dobbiamo concludere che la famiglia ligure sia stata formata dai genitori e da due / tre figli. E aggiunge: l’individuazione della popolazione maschile fra i limiti dei diciassette e settanta anni non è in relazione con accertamenti di ordine militare, ma è in funzione con scopi fiscali: le leggi della Repubblica sottoponevano all’avaria gli uomini che avessero avuta quell’età; l’età legale cominciava poi col venticinquesimo anno. Nel totale delle pagine sono inclusi anche i ragazzi inferiori ai diciassette anni e i vecchi oltre i settanta: non appare in quale proporzione gli uni e gli altri fossero rispetto alle donne (13).
Purtroppo in questa caratata la popolazione non è divisa per località, ma considerata complessivamente, per cui non è possibile valutare realmente l’andamento demografico di esse.
Da un punto di vista economico, si può osservare che la popolazione era costituita in prevalenza da agricoltori che vivevano in un regime di economia modesta e ristretta. Anche nei comuni rivieraschi, la maggioranza della popolazione è dedita al lavoro delle terre. (...) Nelle zone marittime, gli uomini che esercitavano navigazione e pesca non erano più del 20%, a parte alcuni comuni con porti importanti quali Savona, Oneglia, di cui non si fa cenno nella caratata per le ragioni suesposte (14). E questa limitata popolazione marinara esercitava il piccolo cabotaggio, cioè trasporto marittimo costiero e pesca (15).
La caratata accenna anche alla presenza di mercadanti o mercanti, cioè detentori di capitali nella veste di mediatori; infatti a molti comuni occorrevano importazioni di generi anche di prima necessità, e i mercanti rispondevano appunto a tale fabbisogno (16).
Viene poi citata una prigione di turchi e di mori, certamente un ricordo delle invasioni barbaresche (17).
Ancora qualche riflessione circa la produzione agricola e la pastorizia: la caratata testimonia una raccolta di frumento, di altri cereali non specificati (possiamo pensare al farro, all’orzo, cioè a quella produzione presente nel documento del 1252 succitato) e di fichi per quattro mesi all’anno; è citata una produzione di vino, e la presenza di venticinque bovini e cinquecento capi di bestiame di taglia minore. Un quadro dunque piuttosto desolante, rispetto a quello ben più vitale e dettagliato riportato nel documento del 1252, nel quale si aveva la sensazione dell’esistenza di un vivace mercato si scambio, che certo non risulta dalla caratata del 1531.
Infine uno sguardo al bilancio: l’unica entrata qui annoverata è costituita dalla cabella dei vini per circa settanta lire genovesi. Le uscite invece sono rappresentate da l’avaria ordinaria, per lire ottocento, più le varie spese per il mantenimento del podestà, il guardiano di Capo Mele, gli scrivani, il maestro di scuola, il sindico de lo maleficio, la cabella de embrixi, per un totale di circa 560 lire.
Anche a proposito dei tributi è possibile riscontrare rispetto al documento del 1252 una semplificazione delle imposte, ma anche una modificazione del sistema contributivo, se è lecito denominare in tal modo un apparato fiscale ancora in embrione.
Mi pare cioè che un nuovo spirito di comunità, intesa come nucleo con una propria identità, traspaia anche nella tipologia di pagamento dei tributi. In fatti oltre all’avaria ordinaria corrisposta a Genova, la popolazione sosteneva anche una serie di spese, per la retribuzione di funzionari che svolgevano anche un servizio per la comunità: il podestà, il maestro si scuola, il sindico de lo maleficio, gli scrivani, la guardia di Capo Mele. In tal modo, parte dei contributi andavano direttamente a beneficio dei contribuenti.


UN CENSIMENTO DI FUOCHI DEL 1535 - 1537
Simile alla carata del 1531 è un censimento di fuochi delle due Riviere presente negli Annali della Repubblica di Genova di A. Giustiniani.
Questi furono redatti nel 1537, ma l’autore non ha indicato a quale anno debbano riferirsi i dati da lui riportati; però accennando alle forme di governo della Repubblica genovese, dice che al presente, il Duce è nominato Cristoforo di Grimaldo Rosso; dico al presente, perché il suo principato è solamente di due anni (18).
C. di Grimaldo Rosso fu eletto doge di Genova per il biennio che corse fra il 4/1/1535 e il 3/1/1537, per cui A. Giustiniani dovrebbe riportare a questo biennio i suoi dati statistici (19).
Del testo integrale riporto solo il numero dei fuochi suddiviso
per località:


(20)

I fuochi sono in totale settecentoquarantadue (compresa Laigueglia), quindi duecentoquarantadue in più rispetto al dato, probabilmente arrotondato per difetto o eccesso, del manoscritto n. 797.
Le notizie sullo stato economico della valle di Andora sono scarsissime; l’autore si limita a dire che è abbondante di vino, olio, ed altri frutti (21). Compare qui per la prima volta, rispetto a quanto riportato nei due precedenti documenti, l’olio. E’ difficile stabilire perché questo non appaia nel manoscritto n. 797, precedente di soli quattro/sei anni. Si può pensare che la produzione non fosse così importante da giustificare una sua menzione nel manoscritto del 1531 (22), e che Giustiniani la riporti per assimilare la valle Andorina a quelle contigue di Ponente, famose produttrici di olio. Oppure si può pensare ad una banale dimenticanza presente nel documento del 1531.
Il fatto che nel documento del 1252 non si faccia menzione dell’olio, si spiega con la tarda comparsa della coltivazione dell’ulivo in forma intensiva, soprattutto nelle valli del Ponente, che a partire dall’età moderna diventeranno le principali esportatrici di olio. Ciò non significa che nel Medioevo l’ulivo non facesse già parte della flora delle nostre valli, ma esso non era ancora stato sfruttato in maniera intensiva, come accadrà invece in seguito; esso era presente, accanto ad altri alberi di non grandi dimensioni e da flutto (fico), ai bordi dei campi coltivati, usato come limitazione degli stessi e non eccessivamente apprezzato per le sue drupe (23).


UN’ANALISI DEMOGRAFICA DEL 1607
Un’analisi demografica effettuata a circa settanta anni di distanza da quella riportata da Giustiniani, è contenuta in un manoscritto del 1607 (24), e risponde ad una precisa richiesta d’indagine inoltrata da Genova al podestà locale.
Il contenuto di questo documento ci permette di conoscere il numero di fuochi e di abitanti di ogni località, ed inoltre il nome e cognome di ogni capofamiglia. In tal modo è possibile rintracciare i cognomi tipici di ogni frazione e fare quindi confronti con i nomi già presenti nel documento del 1252 e con la situazione odierna. A tale scopo riporto di seguito, per ogni frazione, un elenco dei cognomi in essa presenti, col numero delle volte che essi ricorrono e il numero totale delle famiglie o fuochi esistenti in ciascuna.





























Ora vediamo il riassunto complessivo:






Oltre alle osservazioni fatte sopra, a proposito di alcuni cognomi contenuti nel documento del 1252 (25), mi pare utile confrontarli ulteriormente con quelli presenti nel manoscritto del 1607 appena presi in considerazione:
  • il cognome Aribertii presenta assonanza, per rotacismo della “l”, con Aliberto, cognome diffuso a Laigueglia e a Marino. Ma richiama anche la località Auberti, situata nel comune di Stellanello. A mio avviso, però, il primo confronto è più attendibile del secondo, in quanto sia la “r” che la “l” appartengono allo stesso gruppo consonantico.
  • il cognome Zerbino potrebbe essere all’origine del cognome Serbòn, in quanto la trasformazione della z in s è frequente in Liguria. Resta però dubbia la parte finale dei due cognomi, che nel documento del 1252 è in -ino, mentre in quello del 1607 è in -òn. Il cognome Serbòn era presente a Laigueglia.
  • il cognome Buscarini può essere associato a quello di Boscaro, presente in località Castello, se ipotizziamo una mutazione della “u” in “o” e la perdita della finale in -ini, e la conseguente abbreviazione in -aro.
  • il cognome Perolus potrebbe essere all’origine del cognome Perato attestato, con le sue varianti, a S. Bartolomeo (Perato), Rollo (Peratto/-a) dove dà il nome alla località Case Perati, S. Giovanni (Perato).
  • Gonfreo, come ho già osservato sopra (26), presenta evidente analogia col cognome Confreo/-a presente a S. Bartolomeo, e Confredo presente a S. Giovanni, dove dà il nome alla località Confredi.
  • Oliverius può essere confrontato con il cognome Olivero presente a S. Bartolomeo, S. Pietro e Moltedo e le varianti Oliviro e Oliveiro, presenti sempre a S. Bartolomeo.
  • Berni si ritrova nella forma Berne/Bernera a Rollo, dove dà il nome alla località Ca’ Bemeri.
  • Morenus può essere messo in relazione con il cognome Moreno, diffuso a S. Bartolomeo e Moltedo.
  • Ubaldus presenta una certa affinità con Ubelto (mutazione della “a” in “e”, e della “d” in “t” appartenenti allo stesso gruppo consonantico) presente in località Ferrara.
  • Rata può essere confrontato con il cognome Rosa (dissimilazione della “t” in “s” e mutamento vocalico della “a” in “o”), presente a Conna.
                   
Il raffronto diviene più interessante, perché ricco di rispondenze, se esaminiamo parallelamente il documento del 1607 e i cognomi tutt’ora presenti nell’attuale comprensorio del comune di Andora e Laigueglia:




UN CENSIMENTO DI FUOCHI DEL 1629
Risale al 1629 un documento (27) che contiene un elenco di fuochi, e può quindi essere comparato con le pagine di Giustiniani (28) e con l’indagine demografica del 1607 (29): nel contempo riporta una serie di tasse che la comunità di Andora pagava a Genova e di salari percepiti da alcuni componenti della comunità stessa. Può quindi essere manoscritto n. 797 (30).
Vediamolo in dettaglio:






IL SACRO E VAGO GIARDINELLO
Quasi contemporanee al documento precedente sono le pagine del Sacro e vago Giardinello, un Succinto Riepilogo Delle Raggioni delle Chiese, e Diocesi d’Albenga In tre tomi diviso Cominciato da Pier Franc.o Costa Vescovo d’Albenga dell’anno 1624, come recita il frontespizio dell’opera stessa.
In esso, oltre ai dati riguardanti strettamente le Chiese della Diocesi Albenganese, troviamo anche qualche cenno riguardante il numero dei fuochi e degli abitanti di ciascuna parrocchia.
Riguardo al Castello di Andora sono citati 200 fuochi, per un totale di 850 abitanti, di cui 550 sono anime di comunione (31). E’ probabile che tale dato vada esteso a tutto il territorio della Parrocchia di S. Giovanni; infatti la chiesa di Castello dipendeva strettamente da quella di S. Giovanni, come si può desumere dal fatto che nella prima si celebrava messa nella mezzanotte di Natale e all’Aurora del giorno successivo, alla Domenica delle Paline, il primo maggio (festa dei titolari SS. Giacomo e Filippo), il 25 luglio (festa di S. Giacomo), nella solennità del SS. Sacramento, nelle Domeniche e nei giorni festivi durante l’anno.
Ed in quei giorni il Cappellano della Chiesa di Castello celebrava la messa nella Parrocchiale di S. Giovanni (32). Si dice inoltre che gli oratori della Parrocchia di Andora, dovevano, il giorno della Propria festa titolare, ospitare il Prevosto (cioè il parroco della chiesa matrice di S. Giovanni Battista) perché recitasse in essi la messa. Nello stesso giorno il cappellano dell’oratorio di cui si celebrava la festa del santo titolare, si recava a dire messa nella parrocchiale (33).
Gli oratori erano i seguenti:
  • Oratorio dei Disciplinati di SS. Nicolao e Sebastiano (Castello)
  • Oratorio dei Confratelli Disciplinati di Santa Caterina (San Giovanni)
  • Oratorio o Romitorio di Sant’Antonio nel Capo delli Melli
  • Oratorio di Santa Maria delli Angioli nella villa di Mosaiga
  • Oratorio campestre di S. Nazario e Celso
  • Oratorio di S. Rocho nella villa di Marino
  • Oratorio campestre di S. Maria di Loreto chiamato la Pigna
  • Oratorio della S. ma Trinità nella villa di Rollo (34).
Quindi nella Parrocchia di Andora erano incluse le seguenti località: Castello, S. Giovanni, Colla Micheri, Capo Mele, Mezzacqua, Marina, Marino, Pigna, Rollo.
E’ evidente quindi che gli 850 abitanti succitati siano da ripartirsi in queste località, e non possano riferirsi solo a quella di Castello.
A San Bartolomeo vengono attribuiti 43 fuochi, per un totale di 300 abitanti, di cui 225 anime di comunione (35).
La cura di San Pietro (la cui chiesa era detta curata) non era parrocchiale, ma anch’essa era sottoposta alla Parrocchiale di San Giovanni (36). Da essa dipendevano gli oratori di San Luca, di San Sebastiano nella Contrata de Piani, di Nostra Signora della Neve nella villa de Pian Rossi, di Nostra Signora delle Grazie nella contrata del Domo (37), quindi le località attuali di Pian Rosso, del Duomo. Alla cura di San Pietro sono attribuiti 63 fuochi, per un totale di 300 abitanti, di cui 200 anime di comunione (38).
Conna, la cui chiesa di Sant’Andrea Apostolo aveva il titolo di parrocchiale, comprendeva nei suoi confini anche Moltedo (39).
Contava in tutto 70 fuochi, per un totale di 300 abitanti, di cui 170 anime di comunione (40).
Laigueglia contava 180 fuochi, per un totale di 800 abitanti, di cui 500 anime di comunione (41).
I documenti appena presi in considerazione, se messi a confronto fra loro offrono un’analisi dell’andamento demografico della valle del Merula nell’arco di circa un secolo (42). I raffronti sono stati realizzati prendendo in considerazione prima il numero di fuochi, poi quello degli abitanti.











I dati contenuti in queste tabelle apparentemente riflettono due situazioni non parallele:
da una parte i fuochi appaiono in costante aumento dal 1531 al 1607, passando da 500 a 561, per poi diminuire fra il 1607 ed il 1629, scendendo a quota 520. Invece gli abitanti, nel primo lasso di tempo suddetto (1531-1607) calano da 2500 a 2391, per poi salire bruscamente a 2550 nel 1624 e ridiscendere repentinamente a 2185 cinque anni più tardi.
Quindi mentre le famiglie crescono di numero, la quota di persone che le compongono si contrae, e inversamente quando le prime diminuiscono la seconda si ridimensiona più lentamente.
Comunque, i dati, se osservati complessivamente, dimostrano una flessione numerica della popolazione piuttosto importante, infatti nell’arco di circa un secolo (1531-1629), la perdita è di 315 unità, a fronte di un aumento dei fuochi di 20 unità, questi quindi accrescono di numero, ma si contraggono nei componenti, infatti, la media di questi ultimi passa da 5 (1531) a 4.2 (1629).
Le ragioni di questa flessione negativa possono essere molteplici.
Una certamente è costituita dalla ripresa degli attacchi barbareschi, a partire dalla metà del ‘500. Infatti la costa compresa tra Laigueglia e Ventimiglia viene assalita a più riprese nel 1546, 1548, 1555, 1556, 1557, 1565 e 1583 dai vascelli turchi e algerini (43).
Un dato appare evidente: il Castello, fulcro della vita di Andora durante la dominazione dei Clavesana, e quella successiva di Genova, come testimoniano le emergenze artistiche e archeologiche, nei primi decenni del ‘500 appare un borgo, la cui importanza risulta fortemente sminuita. Al suo posto emergono località poste più all’interno o quasi a picco sul mare, come Rollo, che nel giro di un secolo si sviluppano fortemente.
Quali furono le cause che determinarono una situazione di questo genere?
Una motivazione va ricercata probabilmente nel peggioramento delle condizioni climatiche.
M. Maglioni riferisce che uno spaventoso temporale desolò la vallata, mutò il corso del torrente Meira che dalla sinistra portò a destra il proprio letto e lasciò dove prima scorreva, stagni paludosi le cui acque produssero febbri intermittenti. Fu allora che la gente del castello, dei Previ, di Mezzacqua, della Marina, fuggì:- il fatto è confermato da una memoria rinvenuta nell’Archivio Comunale che narra: " verso il XV-XVI secolo non lasciò di disertare totalmente il Castello ove ogni minimo fiato di mare portava miasmi pestilenti e tuttavia li porta, in guisa che meno i pochi abitanti che vi sono assueti del resto chiunque voglia là soggiornare al dì d’oggi va soggetto a febbri intermittenti ". A ciò si aggiunga la peste che infierì nel Genovesato sul finire del 1400 (e se mal mi appongo nel 1493) ebbe il Castello uccisa gran parte della popolazione: una tradizione, che prova meglio d’ogni altro documento il terrore degli animi, riporta che rimase in Andora una sola famiglia (44).
La notizia di una violenta epidemia è riportata anche da Fedozzi, che in base ai dati raccolti dal Giustiniani la fa risalire al 1436 (45).
E’ possibile che si tratti dello stesso episodio, male interpretato da Maglioni, o piuttosto che nel corso di pochi decenni si siano susseguiti due focolai, forse di diversa natura.
Quindi il XV secolo fu determinante nel delineare nella valle del Merula una nuova situazione abitativa, cioè la costituzione di nuove frazioni o l’incremento di quelle già esistenti. Situazione che si riflette nei documenti del ‘500 e ‘600 sopra esaminati.
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  1. LIBER IURIUM 1854, I, col. 1169, n. DCCCXLIX.
  2. CALVINI 1984, sub voce MANSUS.
  3. GIARDINELLO 1624, p. 372 e PETRACCO SICCARDI-CAPRINI 1981, p. 99.
  4. Conditio = tributo (NIERMEYER 1976, sub voce BANNUS); comparia = tassa imposta sulla terra (DU CANGE, sub voce CAMPARIA); banda = ordine emesso solennemente in virtù d'un potere pubblico, prescrivente o interdicente un atto determinato su pena d'una ammenda fissa (NIERMEYER 1976, sub voce BANNUS); praecepta = ordine (NIERMEYER 1976, sub voce PRAECEPTUM).
  5. FEDOZZI 1988, p. 128.
  6. FEDOZZI 1988, p. 139.
  7. Contenuto nell'Archivio di Stato di Genova, in sezione Manoscritti.
  8. GORRINI 1931, p. 4.
  9. GORRINI 1931, pp. 4-5.
  10. GORRINI 1931, p. 6.
  11. Dal latino embrix, -icis: mattoni, tegole. Sulla fabbricazione e smercio di questi materiali da costruzione si pagava una tassa fin dal XIV secolo. Circa la presenza di produzione di laterizi nella valle del Merula, si veda anche quanto è stato detto al Cap. I, p. 13.
  12. GORRINI 1931, pp. 29-30.
  13. GORRINI 1931, p. 11.
  14. Savona e Oneglia non rientravano nella condizione di dominio diretto, e quindi non sono menzionate in questa carata. Vedi sopra pp. 55-56.
  15. GORRINI 1931, p. 15.
  16. GORRINI 1931, p. 17.
  17. GORRINI 1931, p. 18.
  18. GIUSTINIANI 1854, p. 76.
  19. GORRINI 1931, p. 10.
  20. GALASSI - ROTA - SCRIVANO 1979, pp. 110-111.
  21. GALASSI - ROTA - SCRIVANO 1979, p. 111.
  22. Gorrini stesso sottolinea come questa produzione fosse molto più diffusa nel Levante, così come qyella del vino. Cfr. GORRINI 1931.
  23. QUAINI 1979, pp. 56-57.
  24. Manoscritto contenuto nell'Archivio di Stato di Genova, Sala Senarega, Filza 600.
  25. V. sopra pp. 52-53.
  26. V. sopra p. 52.
  27. Documento contenuto nell'Archivio di Stato di Genova, Sezione Manoscritti, n. 218.
  28. V. sopra pp. 61-64.
  29. V. sopra pp. 64-73.
  30. V. sopra pp. 54-61.
  31. GIARDINELLO 1624, c. 369.
  32. GIARDINELLO 1624, c. 367.
  33. GIARDINELLO 1624, c. 369.
  34. GIARDINELLO 1624, cc. 369-371.
  35. GIARDINELLO 1624, c. 409 retro.
  36. GIARDINELLO 1624, cc. 413 e seguente.
  37. GIARDINELLO 1624, c. 429.
  38. GIARDINELLO 1624, c. 416 retro.
  39. GIARDINELLO 1624, c. 426.
  40. GIARDINELLO 1624, c. 426.
  41. GIARDINELLO 1624, c. 402 retro.
  42. L'indagine sui redditi del 1252 è stata tralasciata, perchè non is presta ad essere inserita in un tale raffronto.
  43. CALVINI 1980, pp. 97-164.
  44. MAGLIONI 1995, pp. 27-28.
  45. FEDOZZI 1988, p. 119 e GIUSTINIANI 1537, V.
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BIBLIOGRAFIA
  • N. CALVINI, Nuovo Glossario Medievale Ligure, Genova 1984.
  • Ch. DU CANGE, Glossarium. Mediae et Infimae Latinitatis, II, Bologna.
  • G. FEDOZZI, La Valle Steria nei secoli, Imperia 1988.
  • SACRO E VAGO GIARDINELLO e succinto Repilogo Delle Raggioni delle Chiese e Diocesi d'Albenga In tre tomi diviso, cominciato da Pier Francesco costa vescovo di Albenga nel 1624 del canonico Ambrogio Paneri, vol. II, Archivio dell’Istituto Internazionale di Studi Liguri, sez. di Albenga, fotocopia da manoscritto.
  • A. GIUSTINIANI, Annali della Repubblica di Genova, I, Genova 1854.
  • G. GORRINI, La popolazione dello stato ligure nel 1531 sotto l’aspetto statistico e sociale, Roma 1951.
  • Liber Iurium Reipublicae Genuensis, Historiae Patriae Munumenta, VIII, 1-2, Torino 1854.
  • M. MAGLIONE, Cenni storici sulla vallata e sul Castello di Andora, Albenga 1895.
  • MS 218: ASG, Sala Senarega, n. 218.
  • MS 600: ASG, Sala Senarega, Filza 600.
  • J. E NIERMEYER, Mediae Latinitatis Lexicon Minus, Leiden 1976.
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