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PRIMA DI TUTTO

STORIA E DOCUMENTI > STORIA ANDORESE
PRIMA DI TUTTO
(Sandro Garassino)

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Prima di tutto c’erano i LIGURI.
L’antico popolo, la stirpe del cigno: valorosi guerrieri, famosi cantanti, intrepidi pionieri.

Poco sappiamo di loro. Sì, abbiamo le loro tracce nei ritrovamenti archeologici, nelle incisioni rupestri, nei monumenti megalitici, nelle steli litiche. Ma i Liguri non avevano scrittura e conseguentemente neppure un ceto intellettuale che ne tramandasse l’epica.
Tuttavia possiamo ricercare le loro peculiarità nelle descrizioni riportate nella letteratura pervenutaci da altri popoli, con loro venuti a contatto, nello specifico i Greci ed i Romani.

1) L’ANTICO POPOLO
Lo scrittore greco Esiodo (che scriveva nel 700 A.C.) indicava quali popoli autoctoni degli allora tre continenti conosciuti, gli Sciti per l’Asia, gli Etiopi per l’Africa e i Liguri per l’Europa (evidentemente escludendo dal novero ciò che per lui era ovvio, ovvero i popoli del mediterraneo orientale e del vicino oriente – Greci, Egizi, Persiani ecc.).
Nella storiografia moderna sono due le tesi circa l’origine dei Liguri. Alcuni studiosi sostengono che si trattava di popolazioni pre – Indoeuropee, ovvero discendenti dai cacciatori – raccoglitori del neolitico provenienti dal sud, altri affermano che erano genti riconducibili alla prima ondata immigratoria Indoeuropea.
Qualsiasi sia la verità, è indiscutibile che parliamo di un’etnia tra le più antiche tra quelle presenti sul nostro continente.
Circa la loro localizzazione, abbiamo tracce della loro presenza un po’ ovunque nell’Europa sud occidentale, potremmo parlare di Siculo, condottiero Ligure che conquistò la Sicilia, o della leggenda di Corsa, la donna Ligure che scoprì la Corsica, riportare tanti altri esempi e curiosità che meriterebbero un’analisi ben più approfondita di queste poche righe.
All’epoca in cui Esiodo scriveva, le tribù liguri, a seguito delle pressioni celtiche, a nord e ad ovest, dei Veneti ad est, degli Umbri prima e degli Etruschi poi da sud, erano stanziati su tutto l’arco montano compreso tra le Alpi Apuane e la valle dell’Adige in Trentino, mentre riguardo la costa, da quella del nord della Toscana alla foce del Rodano la cui valle costituiva il confine ovest del territorio Ligure.
Tale situazione si era determinata a causa delle “infiltrazioni” proto-celtiche nell’età del bronzo (popolazioni della cultura dei Terramare) di quelle dell’età del ferro (Villanoviani) per finire con i Galli, la cui presenza era sostanzialmente circoscritta alle aree della pianura Padana (al tempo coperte da fitte foreste paludose e malsane). In particolare le aree ad est della direttrice della valle del Trebbia idealmente prolungata sino alle Alpi, dove i territori, segnatamente quelli a sud del Po, erano contesi tra le popolazioni celtiche e quelle etrusche, mentre ad ovest, seppure con qualche eccezione, il territorio era, sostanzialmente, saldamente Ligure.
Spesso si sente parlare di popolazioni celto-liguri o vengono ascritte ed accostate ai celti, tribù in realtà di ascendenza ligure. Questo non corrisponde a verità.
I Liguri non facevano parte e mai hanno fatto parte, delle popolazioni celtiche.
Erano fisicamente e culturalmente diametralmente opposti.
I celti erano alti e massicci, i liguri esili. Addirittura, alcune fonti greche sostenevano che avessero una coppia di costole in meno (una per parte). Già Aristotele era scettico sulla questione. Eppure, a seguito del ritrovamento della “mummia del Similaun” dalle analisi di questa si è potuto constatare come “Oetzi” fosse portatore di tale anomalia genetica. (A questo proposito si rammenta che i Liguri Anauni erano stanziati in Trentino – Anauni da cui l’attuale denominazione di Val di Non).
Tornando alla questione genetica, con questa, a scanso di equivoci, non si intende assolutamente che i liguri appartenessero ad una specie diversa dal “Homo Sapiens – Sapiens”, come il Cro-Magnon o il Neanderthal, ma semplicemente spiegare come fosse possibile che fossero portatori di una mera variante genetica. Con un esempio assolutamente improprio ed ardito, che però si spera esaustivamente chiarificatore, il purosangue Arabo presenta rispetto agli altri cavalli la caratteristica di avere un paio di costole in meno, tuttavia è un cavallo anzi, forse, il cavallo, per antonomasia.  
Riguardo il profilo sociologico culturale, mentre i celti avevano una società fortemente gerarchizzata, suddivisa in distinte caste, schiavi, popolo, guerrieri, sacerdoti, nobili e re, i liguri, al contrario erano assolutamente egalitari, divisi in tribù, a loro volta suddivise in piccoli clan familiari. Le proprietà erano collettive all’interno del clan e, trattando di risorse come pascoli, foreste e sorgenti, comuni all’interno dell’ambito tribale. Non avevano capi, sacerdoti o re. Solamente in caso di guerra, tramite l’assemblea dei capifamiglia, eleggevano un condottiero.
Fa eccezione, forse, la sola vicenda di Cozio, che dal padre Donno, all’epoca di Giulio Cesare, attraverso il figlio Donno II ed il nipote Cozio II, per circa un secolo, fino all’epoca di Nerone, si ritagliarono uno stato semi-indipendente, ubicato in parte nell’attuale Piemonte ed in parte sulla corrispondente area francese, ove rivestivano la singolare doppia figura di condottieri della federazione di tribù liguri ivi stanziate e di Prefetti Romani. (Alpi Cozie = Alpi di Cozio). Alla morte di Cozio II, privo di eredi, la dinastia si estinse ed il territorio fu pienamente integrato nell’impero romano.
Non avendo i Liguri un ceto sacerdotale, il rapporto con le divinità era diretto, si potrebbe dire quasi paritario. In particolare santificavano le manifestazioni della natura, sacralizzando le alture ed i corsi d’acqua. Nella nostra zona, gli oronimi di Monte Bego (ora in territorio francese) e del Beigua derivano direttamente dalla denominazione del Dio Bego (il Dio supremo del pantheon ligure, assimilabile a Giove- Zeus). Nel levante abbiamo il Monte Sagro, la cui etimologia è evidente.
Altro dio da ricordare è Bormo o Borvo o Borman, dio assimilabile ad Apollo (il nome deriva dalla radice linguistica Bor-Borm = caldo, nel caso del nome da assumere nel senso di “colui che dona calore”, radice linguistica analoga al celtico warm rimasta inalterata in alcune lingue nordiche, ad esempio nell’inglese (to warm = scaldare), il cui luogo di culto principale era il “Locus Bormani” nel Dianese.
Infine i liguri, sempre praticarono, almeno sino alla cristianizzazione, il culto degli antenati, per loro estremamente importante.
In conclusione, per le ragioni sopra sinteticamente esposte, è da ritenersi del tutto imprecisa, la definizione spesso riportate, anche da fonti autorevoli, di popolazioni celto-liguri.
Le due etnie in questione non si sono mai fuse in unica entità culturale, almeno sino al completo assorbimento di entrambe nella dominante cultura romana e solamente attraverso di questa e della successiva cristianizzazione, senza alcuna fase intermedia.
La definizione di cultura celto-ligure, può essere accettata solo qualora si sottintenda che i Liguri, venendo a contatto con una cultura socialmente, tecnologicamente, organizzativamente e linguisticamente più avanzata, acquisirono conoscenze, competenze ed influenze da questa, senza, tuttavia minimamente intaccare la loro profonda essenza identitaria.
Per essere estremamente chiari e ribadire ulteriormente il concetto, si utilizza un parallelo moderno: il fatto di “infarcire” il nostro lessico quotidiano con inglesismi, aver adottato la festività di Halloween, andare a mangiare un Hamburgher al McDonald, amare il Jazz, il Rock o il Rap non ci rende automaticamente tutti italoamericani.
 
2) LA STIRPE DEL CIGNO
Il mito greco racconta dell’origine dei liguri con una narrazione che condensa, all’interno della stessa, le caratteristiche che i greci attribuivano, a loro giudizio, alle genti Liguri.
Fetonte, figlio del dio Elio>Febo>Apollo, convince il padre a lasciargli condurre il carro infuocato del Sole. Dopo un breve volo ne perde il controllo, avvicinandosi pericolosamente alla terra, rischiando di ridurla in cenere. Interviene Giove che, con un fulmine abbatte il carro solare che si schianta nel fiume Eridano (Po) e Fetonte muore.
Sul luogo dell’incidente accorrono i parenti, tra cui le sorelle di Fetonte, le Eliadi, ed un congiunto (meglio non speculare oltre sul tipo di legame, si tratta pur sempre di antichi Greci…) di nome Cycnus (cigno).
Affrante le sorelle si sciolgono in pianto, mentre Cycnus eleva un dolcissimo canto di commiato al defunto, così struggente che il suo cuore si arresta.
Gli dei, commossi dalla tragedia e dal suo epilogo, trasformano le Eliadi in pioppi, le lacrime versate nella preziosa ambra e trasmutano Cycnus in cigno elevandolo al cielo (costellazione del Cigno) ove, nella sua qualità di “cigno celeste, vola tra le stelle e naviga nel fiume della via lattea”.
Cycnus era considerato il capostipite dei Liguri, per i quali il cigno era l’animale “totemico”, il loro emblema, (infatti usavano adornare i loro elmi di cimieri in forma di cigno).
Di questo abbiamo conferme sia archeologiche che letterarie.
Si veda ad esempio Virgilio, che nell’Eneide, trattando dei Liguri Cunaro e Cupavone, alleati di Enea nella guerra contro Turno, scrive: “… Dal cui elmo svettano le penne di cigno, vostra colpa, amore, e insegna della bellezza paterna”.
Virgilio, da grande poeta par suo, riassume in tre parole tutto il mito di Cycnus, morto per la sola colpa di aver troppo amato Fetonte.
Il cigno era sacro ad Apollo, era presente alla nascita del dio, lo trasportava in volo, ne rappresentava il dono profetico.
(Apollo era particolarmente venerato dalla mitica e fantomatica popolazione nordica degli Iperborei, nel cui territorio era in origine ubicato il Fiume Eridano, successivamente identificato con il Po, per cui abbiamo una sorta di curioso “corto circuito” che riconduce nuovamente ai Liguri).
Ancora, il cigno, simbolo solare e benefico, in quanto creatura a suo agio in aria, acqua e terra, tre dei quattro elementi fondamentali, rappresenta il dominio sugli stessi.

I temibili guerrieri
Il cigno nonostante sia definito “Re fra gli uccelli d’acqua, porta il vessillo della bianca pace”, è pure detto che “se attaccato combatte contro le aquile ed è da esse temuto”.
Le fonti, a proposito dei Liguri, sono concordi nel considerarli formidabili e valorosi guerrieri.
Ad esempio in Tito Livio: “Ecco un nemico Ligure, cosa che non oserebbero gli ispani, i galli, i macedoni, i cartaginesi, si avvicina alle linee di difesa romane, prende l’iniziativa di circondarci e di assaltarci.”
E’ più volte sostenuto che un Ligure, seppure asciutto ma agile, forte e resistente, a confronto diretto con un Celta grande e grosso, quasi sicuramente avrebbe prevalso il Ligure.
E’ ben noto il detto che tra i Liguri, gli uomini combattono come belve e le donne come uomini.
Al di là di queste descrizioni è possibile affrontare la questione da un altro punto di vista. Poiché tali affermazioni ci sono pervenute tramite popoli (i greci e romani) che spesso si erano trovati a confrontarsi militarmente con i Liguri, essi, soprattutto i Romani avevano interesse ad esaltare le doti combattive dei popoli sottomessi, al fine propagandistico di magnificare, per riflesso le proprie.
Tuttavia, nonostante la turbolenza del liguri, le loro rivolte, le azioni di disturbo, le immancabili partecipazioni ad alleanze anti Roma, (se si esclude la tragica vicenda della  tribù Ligure degli Apuani, che dopo aver ripetutamente sconfitto i Romani, furono da essi alla fine sopraffatti, massacrati ed i pochi superstiti deportati in Campania, ed in parte quella dei Liguri Salassi della Val d’Aosta), i Romani che usualmente erano spietati e brutali contro i popoli che gli resistevano, non furono mai eccessivamente duri con i Liguri. Evidentemente avevano più di un tornaconto ad essere cauti. I Liguri oltre ad essere valorosi guerrieri erano maestri nelle tattiche di guerriglia, in quella che oggi si definirebbe guerra asimmetrica, ed i Romani avevano imparato a loro spese, nelle guerre contro gli Apuani, dalle quali erano usciti sì vincitori, ma a caro prezzo e con un impiego di risorse di gran lunga superiore al ricavo ottenuto, probabilmente ben si resero conto che un atteggiamento, fermo ma tutto sommato conciliatorio, era sicuramente conveniente, anche in funzione anti-celtica.
In questo Plutarco è adamantinamente chiarificatore, laddove, trattando della vita di Lucio Emilio Paolo, il console romano che sconfisse i Liguri delle nostre zone ( alcuni storici sostengono che l’ultima battaglia degli Ingauni è stata combattuta proprio nella piana di Andora ed una delle ultimi roccaforti era sicuramente sul monte Tirasso dove ora c’è il Santuario della Madonna della Guardia), commentando le condizioni di resa particolarmente favorevoli concesse ai Liguri, osserva: “Non era desiderio dei Romani estirpare completamente la nazione dei Liguri: essi costituivano una specie di barriera e baluardo contro i movimenti dei Galli, che incombevano sempre minacciosi sull’Italia.”  

I famosi cantanti
Dal mito di Cycno e del suo ultimo, melodioso e commovente canto, deriva la leggenda assai nota dell’ultimo canto del cigno, ma pure la caratteristica che i greci assegnavano ai Liguri, ovvero che fossero cantanti particolarmente dotati.
L’appellativo stesso di Liguri (che non era il nome con cui essi stessi si riconoscevano, identificandosi piuttosto con quello delle tribù) è il nome dato dai Greci e deriva dal vocabolo greco Liguos con il significato di soave, armonioso, canoro, aggraziato associato, appunto, alla caratteristica di cantanti.
A questo proposito più fonti affermano che, anche in battaglia, solo una parte dell’esercito partecipasse direttamente allo scontro, mentre una parte vi assisteva cantando, adottando un comportamento che oggi si potrebbe definire di supporto ed incitamento tifoso.

Gli intrepidi pionieri, esploratori, viaggiatori e navigatori
Le fonti riportano che i Liguri costieri erano abili navigatori, che con le loro piccole, primitive e scarsamente attrezzate barche (gli scrittori antichi parlano proprio di barche e non di navi) attraversavano regolarmente il mediterraneo sino a Cartagine ed oltre.
Come abbiamo visto nella prima parte, i Liguri avevano spaziato in mezza Europa, essendo anche avventurosi viaggiatori - esploratori.
Torniamo al mito greco di Fetonte. Abbiamo parlato di Cycno, lasciando il sospeso le Eliadi, trasformate in pioppi e le loro lacrime in ambra.
Per i Greci i Liguri erano associati all’ambra, che, sempre i Greci, credevano fosse estratta nel territorio Ligure. In realtà così non era. I Liguri si limitavano a commercializzare la preziosa resina che si procuravano nell’unico luogo dove, ora come allora, è reperibile, ovvero le coste baltiche.
Dalle coste del mar Ligure, dove erano i luoghi di interscambio, presso le colonie greche, i nostri antenati, seguendo, quelli stanziati nell’odierna Francia il corso del Rodano, per quelli delle nostre zone il corso del Ticino, attraverso i passi montani arrivavano alla valle del Reno, percorrendola fino al mare del nord per poi giungere presso la penisola dello Jutland ove erano stanziati i Germani Ambroni (appunto) presso i quali si rifornivano dell’ambra.
Emblematico di tale epopea è l’episodio avvenuto durante la battaglia di Aquae Sextiae (l’odierna Aix en Provence) avvenuta nel 102 A.C., (ovvero almeno 2 o 3 secoli dopo che tale commercio era cessato, a causa dell’apertura di nuove vie commerciali più agevoli). In tale occasione l’esercito Romano, comprensivo di un nutrito numero di alleati Liguri, per un totale di poco più di 30.000 effettivi, al comando del console Gaio Mario, si scontrò con le popolazioni dei Teutoni e degli Ambroni, con un esercito di tre volte superiore a quello romano, calati in massa dal nord.
Nel primo giorno della battaglia, venendo a diretto contatto gli Ambroni con i Liguri, riconosciutisi reciprocamente, dopo le provocazioni di rito, iniziarono, (in particolare i Liguri nonostante gli ordini contrari di Gaio Mario, che avrebbe preferito prima trincerarsi), una mischia, per così dire privata, una battaglia nella battaglia, creando non pochi equivoci, problemi, scompigli e confusioni nelle ordinate e disciplinate truppe romane.
Per inciso questa battaglia fu una delle battaglie decisive per i Romani, con l’intero sterminio degli invasori nordici, a fronte di un migliaio di Romani e Liguri. (anche i Liguri stravinsero la loro zuffa, salvo poi essere messi in difficoltà e respinti dalle donne degli Ambroni, quando tentarono di avvicinarsi all’accampamento).

3) IL LASCITO DEI LIGURI
Sono trascorsi duemila anni, tuttavia, come un lieve aroma che persiste nell’aria, i Liguri sono ancora fra noi. Sono presenti nei toponimi (spesso ricorrenti), nei nostri cognomi, nel nostro dialetto, nel nostro DNA.
Le Alpi ed i termini ad esse collegate derivano dal ligure “alp” con significato di pascolo alto, di montagna.
L’idronimo di Po deriva dal nome ligure del fiume: “Bodincus”.
In dialetto l’azione del pascolo (l’azione non il terreno) è resa da “scò”, ad esempio “u l’è a scò”, “u l’ha purtau e vacche a scò”, questo ci deriva direttamente ed immodificato dal ligure antico con l’allora significato di pascolo comune, ed è diventato un suffisso tipico della cognomizzazione, ma anche della toponomastica ligure. Si vedano ad esempio tra i cognomi Noberasco, Pregliasco, Bertonasco, Languasco, nei toponimi: Arnasco, Vegliasco, Lucinasco, Bogliasco.
La radice CO è presumibilmente collegata al concetto di acqua. Si cita Conna, Conio, Cosio ecc.
Talvolta i due termini sono accostati nel probabile significato di pascolo vicino all’acqua o acquitrinoso (si veda Coasco, loc. Coasci a Conna ecc.)
La radice CAR è collegata al termine pietra. Ad essa rimanda il termine dialettale ben noto di Caruggiu - da intendersi nel senso di strada lastricata – (Al contrario, Crosa, di significato analogo di strada lastricata, è di influenza celtica come Bric per altura).
CAR è presente pure in molti toponimi come per Carpasio, Cartari, Carbuta ma in particolare negli oronimi, per restare nel nostro territorio: Monte Carchera sopra Bossaneto, Monte Caro sopra Evigno, Poggio Carmo sopra Barò. (Si evidenzia come Carmo sia oronimo particolarmente diffuso).
Il toponimo “castellaro” è indicativo della presenza di un villaggio fortificato ligure.
Si potrebbe continuare con altri esempi.

Infine un’ultima nota personale.
Ricordo distintamente come i miei nonni, ma anche altri anziani del vicinato, in occasione del rimbombo di tuoni, a noi bambini, immancabilmente dicessero: “U l’è Barabin cu litiga cun Barabanna, so muje” o ancora, “urmai ti sei veggiu / u l’è veggiu cumme Taradan” anche nella versione “veggiu cumme l’ase de Taradan” per indicare sia qualcuno o qualcosa di sorpassato, obsoleto.  
Trovo curioso e stimolante l’utilizzo di tale terminologia. Vi è sì un’assonanza onomatopeica, ma anche una singolare rassomiglianza sia con Borman ma soprattutto con Tar-Adan>Taranis dio celtico del tuono (da cui Thor). Dubito fortemente che gli allora anziani di Conna fossero a conoscenza del particolare. Mi piace pensare che sia un ricordo giunto sino a noi.
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